L'editoriale
Dibattito sul socialismo, c’è una storia formidabile da recuperare
Fabrizio Cicchitto in una sua lunga riflessione sui tempi che viviamo e sulla politica di casa nostra conclude affermando che «ci vorrebbe un socialismo riformista carico di Storia, ma capace di liberarsi di tutti i drammatici errori e limiti che lo hanno caratterizzato finora». E, probabilmente influenzato dalla situazione apocalittica nella quale siamo immersi, lo ha ribattezzato: “Partito Socialista del Terzo tipo”. Quel che è certo è che ci troveremo presto o tardi dinnanzi ad una condizione nuova e trasformata delle società in cui abbiamo vissuto sino ad ora ed è evidente che la pandemia ha portato allo scoperto le contraddizioni ed i limiti della Globalizzazione Economica sostanzialmente fondata su un modello individualistico e della nostra struttura sociale che aveva dei punti deboli e vulnerabili che sono emersi in tutta la loro evidenza. Di qui il richiamo al pensiero ideologico ed alle nozioni e funzioni del Socialismo Democratico.
Chi pensava che le ideologie nell’appiattimento della globalizzazione si fossero sopite ha dovuto ricredersi, e l’esigenza di un pensiero nuovo si combina esattamente con il nostro compito di “ricostruire” le fondamenta di società gravemente lesionate dalla vicenda del Corona.
Lo stesso virus ci ha obbligato ed ha aiutato gli uomini a «elevarsi al di sopra di sé stessi» perché «ciò che è vero per tutti i mali del pianeta è vero anche per la Peste» come ammoniva Albert Camus mai abbastanza ricordato in queste settimane. Affrontiamo per la prima volta in questa metà di secolo la medesima temperie che l’umanità dovette padroneggiare durante i conflitti bellici: la paura, la penuria economica, la diminuzione delle libertà private, il conflitto nelle catene di comando fra istituzioni democratiche elettive e “l’espertocrazia” che si è impossessata della tolda di comando. La Scienza tanto bistrattata o sottovalutata ci ha messo di fronte ai nuovi grandi dilemmi del tempo: la questione sanitaria e la questione ambientale con le quali dovremo convivere a lungo e che la Globalizzazione Finanziaria ed il Liberismo non solo non potevano prevedere ma neanche erano in grado di governare.
Ora siamo di fronte a dilemmi nuovi verso i quali potrebbero apparire obsolete risposte antiche. Ma giustamente osserva Fabrizio Cicchitto che non sono venuti meno i “presupposti” del Socialismo Democratico (per dirla con Bernstein) e che il compito di ridurre le diseguaglianze che sono andate via via cumulandosi, e di liberarsi dal laccio burocratico che strangola con la compressione sui debiti le nazioni, diventano uno degli obiettivi di una rinata formazione del Socialismo Democratico. È scaduta l’illusione di “temperare” il capitalismo come avrebbe desiderato Olaf Palme, che lo immaginava come una pecora da tosare; sono superate le illusioni dell’ircocervo liberista-laburista di Antony Giddens, applicata da Blair; diciamo pure che è superato il neo collettivismo populista a cui si sono abbeverati e si stanno abbeverando molti fan di Corbyn e dello stesso Sanders (che è alla fine un classico socialdemocratico di stampo liberale). E dunque l’idea di coltivare una via italiana al Socialismo Democratico è corretta, perché dopo venticinque anni dalla scomparsa di una robusta formazione erede dell’ultracentenaria storia del socialismo italiano, è giusto porsi il problema della sua ricomparsa nei tempi e nei modi che la politica odierna consente e contempla.
L’anno in corso sembrava promettere bene, nel senso che sembrava interrompere il tentativo di prolungare il lockdown della memoria del Socialismo italiano e della figura di mio padre Bettino Craxi, che fu un epigono di un Socialismo Democratico e Liberale che si adattava ai tempi che cambiavano, e precursore di tanta parte di una visione critica e pratica sui rischi e sulle opportunità della Globalizzazione Economica e della stessa Europa. La fase di stallo seguita alla copiosa riflessione politica che è seguita alle iniziative di rilevanza pubblica sul 20° anniversario della sua scomparsa comunque ci consente di mettere in evidenza quale sia il grado di volontà e di apertura che una parte della sinistra erede delle tradizioni comuniste e democristiane sia stata in grado di offrire. Sul terreno del revisionismo storico le timide prese di posizioni, gli scarni riconoscimenti e, quel che è peggio, l’incapacità di assumersi l’onere della fine traumatica della Prima Repubblica, determinano l’esito nefasto di non essere in grado di promuovere una memoria collettiva più condivisa e di non essere in grado di mettere radici ad un pensiero nuovo che sia collegato alla storia della sinistra italiana che ha avuto un’unica fonte generatrice, ovvero il Socialismo.
Il Partito Democratico, al di là della burocratica adesione al Socialismo europeo che i suoi dirigenti hanno frequentato come un albergo a porte girevoli dal quale sono entrati ed usciti a seconda delle guide che si sono succedute, è lungi dal costituirsi sul piano ideologico come una formazione erede del Socialismo Italiano: troppe piroette hanno costellato la formazione del loro pantheon. Il Pd non si pone come una formazione in grado di presiedere e promuovere un progetto politico in grado di soddisfare un fabbisogno ideologico sempre più intenso. Il che non significa richiamare a raccolta la riserva che per venticinque anni ha subito la clandestinità o il camuffamento nella lunga diaspora, ma rimettere le basi ideali e pratiche ad una sostanza politica che continua a riferirsi ad una forma organizzata che anche nel tempo moderno non possiamo non declinare come Partito.
“Adatto ai nostri tempi”, certamente, rappresentativo di significativi strati della popolazione ed inerente all’obbligo politico e sociale di raccogliere l’enorme e diffuso sentimento di disagio che ha sconvolto l’unione europea e che ha trovato delle risposte semplici ma fallaci nel turbo-populismo declinato ora in forme neo-nazionalistiche ora in improbabili movimenti che si sono alimentati attraverso la democrazia del web che ha pretese deliberative mentre non è altro che una forma controllata di direzione del consenso e di diffusione dei virus altrettanto letali delle dottrine più eversive che si sono manifestate nel dopoguerra. Il Partito Socialista del terzo tipo può nascere nella consapevolezza che esso non parte dall’anno zero, che risponde ad un’esigenza reale della società nuova in cui vivremo quando dal periodo di cattività ci sveglieremo in un mondo nuovo che attende che vengano rimosse le macerie civili e morali che ha lasciato la pandemia. In questo senso rinasce all’alba del nuovo secolo che è apparso dinnanzi a noi all’inizio di questo decennio, e può avere idee assai più chiare perché temperato dall’esperienza che ha attraversato i secoli, ed ha una lunga Storia che ci però ci siamo definitivamente lasciati alle spalle.
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