“Diego ha ridato dignità a Napoli, per questo la città lo piange”, intervista a Clemente Mastella

«Magari non ne era consapevole, ma Diego è stato uno degli esponenti politici più forti e autorevoli che Napoli abbia mai avuto»: non ha dubbi Clemente Mastella, sindaco di Benevento con un passato da ministro della Giustizia, oltre che da consigliere di amministrazione della società che proprio Maradona guidò alla vittoria di due scudetti e di una coppa Uefa. Iscritto al club dei parlamentari tifosi del Napoli, Mastella è stato testimone privilegiato delle imprese e delle cadute di un campione tanto amato quanto discusso.

Fu proprio Mastella, per esempio, a fare in modo che Maradona disputasse almeno uno spezzone della partita di Coppa dei Campioni contro lo Spartak Mosca, in quella maledetta sera del 7 novembre 1990. L’allora dirigente azzurro Luciano Moggi e l’allenatore Albertino Bigon decisero di escludere dalla formazione iniziale Maradona che aveva deciso di non salire a bordo dell’aereo della squadra diretto in Russia. A promuovere una mediazione, da buon democristiano, fu proprio Mastella che si confrontò con il presidente Corrado Ferlaino, Moggi e Bigon in una Piazza Rossa blindata dalla polizia sovietica.

Onorevole, quali sentimenti ha scatenato la notizia della morte di Maradona?
«Sono attonito. Avevo delle faccende da sbrigare ma, quando ho saputo della scomparsa di Diego, sono rimasto impietrito. A lui mi legano tanti ricordi. Ero negli spogliatoi quando il Napoli vinse il primo scudetto nel 1987. Ero a Stoccarda quando portammo a casa la coppa Uefa nel 1989. Ed ero presente anche a Italia-Argentina, ai Mondiali del 1990, quando il pubblico fischiò l’inno della squadra sudamericana. Per me Diego era un idolo, ma soprattutto un amico col quale avevo un rapporto splendido».

Quindi che ricordo conserva del suo amico Diego?
«Ogni domenica andavo a messa a Ceppaloni, mio paese d’origine, dopodiché raggiungevo la squadra e pranzavo con Maradona e con gli altri calciatori. Spesso Diego, che amava anche il basket, mi accompagnava a seguire le partite della Juve Caserta. Quando cominciai a occuparmi di politica estera, prese l’abitudine di chiedermi notizie sullo scenario internazionale. Anzi, all’epoca della prima guerra del golfo, voleva essere ragguagliato quotidianamente sull’evoluzione del conflitto».

Dunque Maradona era interessato alla politica: a quale partito era vicino?
«Se avesse potuto, in Italia avrebbe votato sicuramente per me, vista l’amicizia che ci legava. Col tempo si è avvicinato a Fidel Castro e a Hugo Chavez anche perché proveniva dai quartieri più disagiati di Buenos Aires e, di conseguenza, era espressione del mondo popolare: il sottoproletariato si riconosceva in lui e lo amava».

Per il modo di fare e il carattere che lo contraddistinguevano, a quale politico della Prima Repubblica lo paragonerebbe?
«A nessuno. Di Diego si conserva un ricordo di natura sportiva e calcistica. Il fuoriclasse che palleggia in maniera divina, il giocatore fenomenale che dribbla gli avversari fino a fare gol, il campione capace di guidare alla vittoria una squadra che fino a quel momento aveva portato a casa pochi trofei: ecco, questo è il principale ricordo di Diego».

Vuol dire che Maradona non ebbe un ruolo politico?
«Certo che lo ebbe, ma forse inconsapevolmente. Diego elevò il popolo napoletano a maggiore dignità e, guidando il Napoli verso traguardi nazionali e internazionali, fece in modo che molti prendessero finalmente coscienza dei problemi della città. Questo è il tipico compito della politica. Diego l’ha svolto inconsapevolmente fino a diventare uno dei più autorevoli ambasciatore di Napoli in Italia e nel mondo».

Che cosa ha rappresentato per Napoli?
«Diego ha incarnato il riscatto di un mondo, di una società e di una cultura. Ha sottratto Napoli alla ghettizzazione e le ha restituito una dimensione internazionale. È anche grazie a lui che la città è diventata qualcosa di più rispetto all’Italia e ha nuovamente ricominciato a giocare una partita internazionale. Diciamoci la verità, dopo il trionfo in coppa Uefa Napoli è diventata uno Stato nello Stato. E Diego ha fatto lo stesso con l’Argentina: ha preso una nazione distrutta e demoralizzata dalla sconfitta nella guerra per le isole Malvine e le ha regalato la rivincita sugli inglesi segnando due gol all’Inghilterra (quello indicato da tutti come il più bello del secolo e quello di mano) ai Mondiali del 1986».

Com’era la Napoli in cui Maradona arrivò nel 1984?
«Era una città in forte difficoltà. Nel 1973 c’era stata l’epidemia di colera, nel 1980 il terremoto, poi la difficile fase della ricostruzione. Per molti, in Italia, Napoli era un luogo abitati da colerosi prima e da terremotati poi. Diego incarnò alla perfezione la condizione della Napoli dell’epoca: una città eternamente sospesa tra l’infinito e l’abisso alla quale seppe restituire l’orgoglio e la capacità di pensare in grande».

A Napoli Maradona visse anche momenti di grossa difficoltà personale, senz’altro amplificata dalle amicizie sbagliate e dal consumo di droga. Pure sotto questo aspetto può essere considerato un eccezionale interprete della napoletanità?
«Per certi versi, Diego incarnava i vizi e le virtù di Napoli. Una certa indolenza, per esempio, che in alcuni casi lo portava a fregarsene di tutto e di tutti. Ma anche la capacità di mettersi alle spalle le difficoltà per affrontare le grandi prove della storia. Ecco, Diego era indolente e, nello stesso tempo, resiliente come solo i napoletani hanno dimostrato più volte di essere».

Che cosa perde Napoli con Maradona?
«Paradossalmente continua a guadagnare. La scomparsa di Diego riaccende i riflettori sia sul Napoli che sull’Argentina. Non è un caso che la città sia in lutto e che lo Stato sudamericano abbia proclamato tre giorni di lutto nazionale. Sono tributi che si concedono solo ai più grandi».

Il sindaco Luigi de Magistris ha annunciato che lo stadio San Paolo sarà presto intitolato a Maradona: è d’accordo?
«L’avevo proposto in tempi non sospetti. De Magistris, in qualità di primo cittadino, avrebbe potuto e dovuto farlo prima. Ma si sa, è un tipo che arriva sempre in ritardo. L’importante, comunque, è che a Diego sia tributato il riconoscimento che merita in virtù di tutto ciò che ha fatto per Napoli e per i napoletani».

Come custodirà il ricordo di Maradona?
«Da uomo di fede quale sono, innanzitutto pregherò per lui. Dopodiché riaprirò il cassetto dei ricordi più belli. Come quando, nel deserto dell’Iraq, incontrai un gruppo di bambini che vestivano la sua maglia numero dieci. O come quando Diego mi invitò al suo matrimonio o mi regalò un orologio che mia moglie Sandra ancora custodisce gelosamente. Ecco, per me Maradona è stato tutto questo: il simbolo di una città desiderosa di riscatto, un fenomeno di portata globale, ma soprattutto uno dei miei migliori amici».