I 32 documenti desecretati
Dietro il lodo Moro l’azione dei servizi segreti
Cosa è stato davvero il “lodo Moro”? Coinvolgeva direttamente il potere politico o era un accordo semisegreto stretto essenzialmente dall’intelligence? Si trattava di un’intesa vaga e allusiva o di un accordo preciso, dettagliato e ben strutturato? Le informative inviate tra la fine del 1979 e i primi mesi del 1982 a Roma dal capo centro del Sismi in Medio Oriente Stefano Giovannone, già uomo di Aldo Moro nell’Intelligence, permettono di rispondere a queste domande in modo preciso.
Si tratta di 32 documenti che, come scritto nella copertina del fascicolo, afferiscono alla vicenda “Giovannone Olp” e sono stati acquisiti in copia dalla Procura della Repubblica di Roma, relativamente alla strage di Ustica. Desecretati dalla Direttiva Draghi del 2 agosto 2021 e attualmente custoditi presso la Sala delle Raccolte Speciali dell’Archivio Centrale dello Stato. Le informative riguardano tutte la vicenda dei due lanciamissili Sam-7 Strela sequestrati nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1979 a Ortona, nell’auto di tre autonomi romani che li avevano trasportati fino al porto dove dovevano essere imbarcati per conto di un militante dell’Fplp, organizzazione facente capo all’Olp, Abu Saleh. Il palestinese sarebbe stato a sua volta arrestato il 13 novembre.
I tre autonomi non facevano in realtà parte di organizzazioni terroriste e non erano neppure al corrente di quale fosse il contenuto della cassa che gli era stato chiesto di trasportare. I lanciamissili erano in transito e non dovevano essere utilizzati in Italia. Tuttavia sia Giovannone che l’Olp intravidero subito il rischio che l’incidente potesse danneggiare i rapporti tra palestinesi e Stati europei. L’agente del Sismi, il 15 novembre, definisce Saleh “elemento emarginato dall’Fplp” anche se legato a uno dei suoi dirigenti, Taysir Qubaa, anche perché suo parente. “Arafat, Gufo (nome in codice di un alto dirigente dell’Olp n.d.r.), e altri esponenti Olp sono costernati che compromette, se non addirittura annulla, quanto acquisito durante anni in corso nel campo politico-diplomatico”, scrive l’agente e aggiunge che Arafat e l’Olp intendono “porre sotto accusa “esponenti del Fplp e in particolare Taysir Qubaa” perché sospettano che il fattaccio di Ortona “rientri in complesso iniziative ispirazione iraqena o libica miranti a sabotare attuale linea moderata Arafat.
La preoccupazione sia dell’Olp che di Giovannone è attribuire l’azione a una frangia manovrata da Baghdad o da Tripoli. Se dovessero emergere collegamenti con il terrorismo italiano, l’Olp non ne sarebbe responsabile e neppure a conoscenza. Due giorni dopo, il 17 novembre, Giovannone aggiunge che Quuba potrebbe agire all’insaputa anche del Fplp ma per conto di Gheddafi: “Non escludesi che Saleh possa aver contribuito operazione Ortona su richiesta servizi libici”. In effetti, specifica il colonnello “si sospetta da tempo” che Quuba fornisca uomini alle operazioni organizzate da Iraq e Libia. L’intento è palesemente quello di assolvere preventivamente l’Olp da qualsiasi responsabilità addossando ogni colpa a Quuba e a Saleh, per il cui permesso di soggiorno in Italia si era peraltro prodigato proprio Giovannone. Già nelle informative seguenti, infatti, la longa manus di Gheddafi scompare, Quuba non è più sospetto di doppio gioco e il 20 novembre Giovannone informa che i lanciamissili erano destinati a essere usati contro Israele: “Sono orgogliosi di farmi comprendere che l’operazione costituisce elemento di una offensiva” in territorio israeliano che dovrebbe costituire “decisiva escalation grazie a impiego armi sofisticate e procedure nuove e inattese”.
È il caso di segnalare che il capo dell’Intelligence italiana in Medio Oriente parla di quella che lui stesso definirà il 23 novembre “una rinnovata campagna terrorista in Israele” ma si raccomanda di non avvertire il Paese alleato: “Il capo centro a Beirut sottolinea l’opportunità di evitare divulgazioni di notizie attinenti all’obiettivo (Israele) perché, in caso contrario, potrebbe derivarne un grave rischio personale per lo stesso”. Tre giorni prima, sullo stesso argomento, aveva usato toni anche più drammatici: “Avete praticamente la mia vita nelle vostre mani e tale affermazione non è retorica”. Per la fine del novembre 1979 il quadro è chiarito: i lanciamissili erano solo in transito in vista della campagna di attentati in Israele, i contatti con gli autonomi, che avevano agito in nome della solidarietà, erano stati presi da “frange autonome del Fplp”. Resta il problema principale: la sorte di Saleh e dei due lanciamissili. È un problema che coinvolge direttamente il presidente del consiglio Cossiga.
In una nota del 17 dicembre Giovannone riassume “un difficile colloquio” svoltosi quella stessa mattina tra lui e Qubaa, nel quale il palestinese si è subito accertato che il contenuto di precedenti incontri sia stato “riservatamente riferito al presidente Cossiga”. I palestinesi chiedono il rinvio del processo fissato per il giorno stesso a Rieti “onde consentire che collegio difesa possa ricevere nuovi elementi per dimostrare inconsistenza accusa ‘importazione d’armi’” e soprattutto chiedono l’impegno di Cossiga a vietare che i lanciamissili e relativa documentazione siano “esaminati o consegnati” dai servizi di Israele o degli Usa. Giovannone segnala infine che l’interlocutore “habet minacciato immediata azione dura rappresaglia nel momento in cui venisse a conoscenza rifiuto aut non rispetto impegno richiesto”.
Il 24 aprile Giovannone invia un lungo e dettagliato appunto ai vertici del governo: a Cossiga, ai ministri della Difesa e della Giustizia, al capo di gabinetto della presidenza del consiglio, al segretario generale del Cesis e all’ambasciatore Malfatti. Il testo veicola “le richieste definitive del Fronte”. Il Fplp chiede che il processo d’appello contro i detenuti, condannati tutti in primo grado a 7 anni, si celebri in giugno-luglio e non, come previsto, in settembre-ottobre, che le condanne siano ridotte a quattro anni per i tre autonomi ma che Saleh sia assolto per insufficienza di prove, che ai detenuti siano concessi i benefici già applicati al ministro Tanassi, che i due lanciamissili vengano distrutti rimborsandone il prezzo di 60mila dollari al Fronte stesso. La conclusione è esplicitamente minacciosa: “L’interlocutore ha infine dichiarato che qualora la comunicazione da parte italiana attesa sentirò il 15 maggio p.v. fosse negativa e non desse sufficiente affidamento circa l’accoglimento delle richieste avanzate il FPLP riterrà definitivamente superata la fase del dialogo passando all’attuazione di quelle iniziative già reiteratamente sollecitate dalla base e da una parte della dirigenza”.
L’agente raccomanda una risposta positiva e chiede al governo di adoperarsi presso la magistratura a tal fine. I messaggi sempre più allarmati di Giovannone si susseguono per tutta la primavera finché il 27 giugno, incidentalmente data di Ustica, segnala “Habet informatomi tarda serata che Fplp avrebbe deciso riprendere totale libertà d’azione. Se processo dovesse aver luogo e concludersi in senso sfavorevole mi attendo reazioni gravi in quanto Fplp ritiene essere stato ingannato”. Il processo d’appello inizierà il 2 luglio e si concluderà con l’abbassamento delle pene da 7 a 5 anni. Saleh però resta in carcere. Il 22 maggio 1981 la Corte rigetta l’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva. Il 4 giugno Giovannone allarmatissimo scrive al Vice Direttore del Servizio che “non si può più fare affidamento su sospensione attività Fplp in Italia decisa nel 1973 e segnala due possibili attacchi: un dirottamento aereo o l’occupazione di un’ambasciata italiana”. Il 14 agosto 1981 Saleh viene scarcerato. I coimputati restano in carcere.
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