Proprio oggi, parlare di innovazione, tecnologia e lavoro, non è solo importante per la data in cui siamo e per cosa significa negli impatti, ma perché è un ottimo momento per rendere questa discussione sempre più parte integrante del dibattito del nostro paese.
Per ragionare di digitale e lavoro, e di come questo cambi, è necessario partire dai numeri. L’osservatorio sulle competenze digitali di dicembre 2023 registra oltre 40mila posizioni ICT aperte sul mercato, ma solo 9mila sono coperte. Se usciamo dal comparto superiamo abbondantemente le 100mila posizioni e queste riguardano tutti i lavoratori, con qualsiasi mansione, perché l’impatto del digitale è ormai trasversale. Non parliamo quindi esclusivamente di STEM, ma anche di profili trasversali funzionali a un mondo guidato dalla complessità. E la richiesta in questo settore aumenterà ancora in futuro: il digitale in Italia è cresciuto mediamente di circa il 3 per cento anno su anno dal 2016. In termini assoluti nel 2023 il valore si è attestato a 70 miliardi di euro, e con una crescita prevista a 90 miliardi nel 2026, determinata da un’ulteriore accelerazione legata a tecnologie come l’Intelligenza Artificiale, che nell’ultimo anno è salita di quasi il 30 per cento.

Partendo da questo scenario, è necessario approfondire, discutere ed agire in maniera che questa opportunità si accompagni ad occupazione ed occupabilità stabile. Il tema centrale diventa quindi di policy, cioè politiche industriali per la formazione e le competenze, strettamente collegate con l’evoluzione di questa industria. Il digitale è già ora un datore di lavoro che possiamo definire “buono”, poiché cerca competenze di qualità e conoscenza, offrendo solide prospettive sia a chi è al primo impiego, sia a chi si sta impegnando in riqualificazione professionale e accrescimento delle proprie competenze.

Ma non basta. Perché, se da un lato dobbiamo certamente partire da scuola e università con i giovani e giovanissimi, è necessario coinvolgere anche i milioni di lavoratori inattivi, i NEET e coloro che cercano attivamente occupazione. A tutti loro dobbiamo rivolgere la nostra attenzione quando parliamo di formazione continua. Per raggiungere tutta quest’immensa platea, e rilanciare tramite il digitale l’intero sistema produttivo, serve sforzo congiunto che colmi i gap attuali, assicurando a donne e uomini di avere una prospettiva occupazionale stabile, anche in un contesto caratterizzato da cambiamento continuo e accelerato. Altrettanto concretamente però, sulla formazione al lavoro, dobbiamo dirci che in Italia ancora molto non funziona. È ancora troppo burocratizzata e formale, troppo parcellizzata e soprattutto non in grado di cogliere quella scala numerica di cui abbiamo già bisogno, e che i numeri evidenziano chiaramente. Per il mercato digitale mancano poi sistemi di certificazione che siano riconosciuti dalle imprese, prima che dai formatori. Un sistema che per esempio usi gli open badge, ovvero le competenze dei lavoratori in maniera immediata e precisa. Ciò avviene poiché quando si tratta di formare quelle competenze digitali specialistiche che tutti i settori cercano, dalla manifattura all’ICT, le difficoltà nel reperimento delle competenze, salgono in maniera significativa. È in questo contesto che registriamo la maggiore asimmetria: c’è bisogno di un metodo formativo efficace.

Ho sempre pensato che la formazione al lavoro più efficace avvenga nei luoghi di lavoro. Siamo infatti più propensi a formaci in ambiti in cui operiamo quotidianamente, che in ambiti totalmente decontestualizzati. Definiamolo “training on the job”, grazie a cui progettare una formazione che sia da subito coerente con le aspettative e gli obiettivi dell’azienda, o per lo meno in ambiti e obiettivi che l’azienda riconosce come di valore per sé. Pensiamo alle Academy aziendali. Questi luoghi – oltre agli ITS – hanno un ruolo chiave per poter sviluppare formazione di qualità. Possono formare i propri dipendenti, possono essere messe a disposizione dei clienti per formare anche i dipendenti di altre realtà e possono infine essere aperte a operazioni di formazione cross settoriale. Nel nostro mondo, dove la formazione qualificata al lavoro, richiede competenze specifiche di altissima qualità, il ruolo delle nostre academy può essere determinante. Costruire un sistema di incentivi pubblici che valorizzi questo asset e che le metta a “sistema” è un punto fondamentale su cui è necessario anche l’impegno del Governo.

Abbiamo bisogno di una visione lunga, condivisa e frutto di un costante confronto con le istituzioni affinché il dialogo tra pubblico e privato non resti mai sulla carta. Solo così potremo reinventare il lavoro, ricostituire i processi, rifocalizzare il talento. È un impegno che è tanto più urgente per un’adozione compiuta dell’intelligenza artificiale generativa. Perché tutti stiamo iniziando a sperimentare i “modelli di base” dell’IA. Tuttavia, il valore più grande arriverà quando personalizzeranno o perfezioneranno i modelli utilizzando i propri dati per soddisfare esigenze specifiche, coniugandole alle nuove capacità di calcolo dei computer quantistici. E in questo quadro, i compiti, non i lavori, saranno gli elementi costitutivi anche della futura trasformazione anche del luogo di lavoro. È nei fatti una ripartenza, basata su competenze che dovremo anche saper trasmettere e valorizzare per le prossime generazioni, per mantenere viva l’identità della nostra industria.

Marco Gay

Autore

Presidente esecutivo West S.p.A.