Dimissioni Sangiuliano, Brunetti: “Meloni non può farsi dettare l’agenda da Instagram, dopo due anni naviga a vista”

Il passo indietro di Gennaro Sangiuliano è arrivato, ma da ore ci si interroga sulla gestione del caso da parte di Giorgia Meloni. Per Tiberio Brunetti – fondatore di Vis Factor – la presidente del Consiglio «ha agito in maniera istituzionalmente ineccepibile, la sua credibilità non subisce contraccolpi». Non manca però un’ammonizione: di fronte a un episodio del genere bisogna chiedersi se si è difendibili, altrimenti «meglio dimettersi subito ed evitare strascichi e logoramenti». Anche perché «troppe giustificazioni mortificano la persona e sviliscono l’istituzione». La vicenda è un insegnamento di base per la politica: «Non bisogna restare in balia della prossima storia Instagram». Occorre dunque tenersi alla larga dal «modello Temptation Island». Ora va giocata la sfida più importante: lavorare e parlare di cose concrete perché, dopo quasi due anni di governo, «serve un cambio di passo sostanziale».

L’opinione pubblica si sarebbe aspettata fin da subito il «sì» di Meloni alle dimissioni del ministro della Cultura?
«Le istituzioni non devono farsi guidare dalla pancia dell’opinione pubblica. Diversamente non avrebbe senso alcuna forma di governo. Giorgia Meloni ha agito in maniera istituzionalmente ineccepibile: ha convocato Sangiuliano e ha avuto rassicurazioni sulla condotta ministeriale. Sulla base delle informazioni in suo possesso lo ha pubblicamente difeso e poi, com’è giusto che sia, è tornata a occuparsi dell’agenda del paese. Nelle ultime ore evidentemente sono state fatte ulteriori riflessioni personali che hanno indotto Sangiuliano alle dimissioni».

Ora qual è l’errore comunicativo più grande che la presidente del Consiglio deve assolutamente evitare?
«La premier deve continuare a lavorare e a parlare di cose concrete, senza lasciarsi trascinare su altri terreni. Non bisogna restare in balia della prossima storia Instagram. Insomma, dal modello Temptation Island in cui vuole trascinarti chi ti attacca, devi restare ancorato alla credibilità istituzionale. Più che altro ora occorre ragionare sul fatto che siamo alla vigilia dei due anni di esecutivo, serve un cambio di passo sostanziale: ancora non emerge un provvedimento bandiera che salvi la legislatura. Bisogna concentrarsi su questo. Nel passato quinquennio – si potrà essere d’accordo o meno – è stato approvato il reddito di cittadinanza, è passato il dimezzamento dei parlamentari, è stato varato il Pnrr. Fin qui nulla di tutto questo. Bisogna superare la navigazione a vista e dare una profondità maggiore all’azione di governo. La Meloni ha i numeri per farlo».

Di fronte a una situazione del genere, quale sarebbe stato il modo migliore per affrontare la crisi?
«Innanzitutto una domanda: si è difendibili? Se la risposta è no, meglio dimettersi subito ed evitare strascichi e logoramenti. Se la risposta è sì, occorre allora analizzare la vicenda sotto ogni punto di vista, provare a prevedere le mosse di chi attacca e, soprattutto, studiare il movente. Il profilo psicologico è fondamentale. Una volta definita la strategia, va applicata in maniera asciutta. Si risponde nel merito e si rilancia l’attenzione su altre questioni. Bisogna evitare di restare schiacciati nella casella sbagliata. Troppe giustificazioni mortificano la persona e sviliscono l’istituzione, per ulteriori profili bisogna lasciare la parola ai legali».

La gestione del caso Sangiuliano ha intaccato la credibilità di Meloni?
«Giorgia Meloni è sempre molto brava a gestire la comunicazione di crisi. Lo ha fatto, ad esempio, con il caso personale Giambruno e lo ha fatto ora. La sua credibilità non subisce contraccolpi da una vicenda risoltasi in pochi giorni».

In questi contesti come cambiano le agende politiche già programmate da tempo?
«Di certo la politica non può farsi dettare l’agenda da Instagram. Occorrono equilibrio e sobrietà, altrimenti si finisce per confondere i piani del gossip e quello istituzionale, ingigantendo il primo e svalutando il secondo. Non siamo di fronte a un’eroina che ha messo sotto attacco un potere che potere più non è, come ha giustamente osservato qualche giorno fa Claudio Velardi, ma a una persona che da tempo voleva accreditarsi nel mondo della politica e lo ha fatto, con facilità, utilizzando i propri mezzi».

Una delle priorità è non lasciarsi trascinare dal caso, ma dimostrare di essere impegnati a lavorare su fronti più importanti (dagli esteri alla manovra, ad esempio). Facile a dirsi, e a farsi?
«Qui entra in gioco il ruolo degli esperti di comunicazione e strategia. La credibilità non la fanno i follower social, che qualcuno in questa vicenda sembra rincorrere insieme alla vanità – citando il film “L’Avvocato del diavolo” – ma la concretezza delle azioni. Io avrei suggerito una comunicazione più sintetica sulla difesa e molto abbondante sulle attività istituzionali svolte, sui risultati ottenuti e sulle azioni in itinere. L’istituzione non può restare schiacciata, anche solo psicologicamente, dal gossip».

Inizialmente sembrava una questione di semplice gossip, ma con il passare delle settimane è diventata un caso politico. C’è stata una sottovalutazione generale?
«Al contrario, a me sembra che la vicenda abbia avuto da subito un grande risalto. Analizziamo la questione senza sovrastrutture e senza falsi moralismi: di storie come questa ce ne sono state, ce ne sono e ce ne saranno. Qui va dato atto al ministro di aver dato in pasto a tutti la propria vita privata per provare a salvare la dignità del proprio operato istituzionale. In altri casi è finita diversamente».