Il caso
Dirigente assolta, doppia beffa per il Comune di Napoli: perde prezioso quadro di Picasso e risarcimento
«Esco da un’orchestrata persecuzione durata dieci anni. Il Comune di Napoli ha perso contro di me in Cassazione ma ha perso anche un quadro di Picasso che poteva garantire la concreta restituzione dei soldi sottratti alla città». È con queste parole che Ida Alessio Vernì commenta l’ultimo atto di una vicenda giudiziaria lunga e dolorosa che alla fine si è risolta come lei aveva sempre sostenuto. Perché le accuse che le erano state mosse prima dall’autorità giudiziaria sul piano penale, per concorso in bancarotta e peculato, e poi dal Comune di Napoli che nonostante il verdetto di assoluzione le aveva chiesto i danni, si sono risolte in assoluzioni con formula piena.
Vernì, ex direttore generale a Palazzo San Giacomo, già cavaliere della Repubblica, un tempo a capo di uno dei settori più strategici dell’amministrazione comunale, commercio e pubblicità, nel 2011 fu coinvolta in un’inchiesta della Procura di Milano su una società privata che per un decennio, a cavallo degli anni 2000, si era occupata anche della riscossione dei canoni pubblicitari a Napoli. Vernì gestiva quel settore per Palazzo San Giacomo e fu tirata in ballo e processata, rinunciò alla prescrizione ed è stata definitivamente assolta nel 2019.
Intanto il Comune di Napoli ha proceduto ugualmente contro di lei avanzando una richiesta di risarcimento danni, richiesta respinta nei giorni scorsi anche dalla Cassazione sicché l’ente, che già non vanta un bilancio rassicurante, ne esce ancora più dissestato se si considera che ha perso definitivamente l’opportunità di avere un quadro di Picasso del valore di oltre 11 milioni di euro che, rivenduto, avrebbe consentito di recuperare buona parte dei suoi crediti, cioè di soldi di tasse pagate dai napoletani finiti in quel di Milano a cura della società che nel frattempo è stata condannata a restituirli alla città.
«A nessuno interessa verificare cosa concretamente farà il Comune per riaverli, a nessuno interessa comprendere che per tentare ancora di “farmi fuori” il Comune non ha curato adeguatamente gli interessi pubblici e non ha ottenuto la garanzia della restituzione attraverso un quadro assicurato per svariati milioni di euro», ribatte Vernì. Quel quadro è la tela Compotier et tasse, realizzata nel 1909 e destinata a essere battuta a un’asta di New York se non fosse finita al centro dell’inchiesta per bancarotta che coinvolse una coppia di napoletani, dirigenti milanesi e la superidirgente napoletana. Vernì, che a causa di quelle accuse smentite dalla sentenza che l’ha assolta, fu sospesa dall’alto incarico dirigenziale e messa a dirigere le biblioteche comunali e gli archivi storici, oggi racconta la sua storia con grande amarezza. La Suprema Corte ha sentenziato la inammissibilità totale dell’istanza presentata dal Comune di Napoli. La lunga battaglia giudiziaria è costata circa 300mila euro.
«Soldi spesi non per la giustizia e il diritto, ma per faide personali – dice Vernì amareggiata – A differenza di qualcuno che ne ha fatto bandiera per i propri successi politici, per dieci lunghi e difficili anni non ho mai esternato pubblicamente il ruolo di vittima del “sistema”, ho sempre avuto fiducia nella giustizia e sono stata affiancata, aiutata, incoraggiata da ineguagliabili avvocati che non finirò mai di ringraziare e ricordare». Si tratta dell’avvocato Enrico Tuccillo, di recente scomparso a causa del Covid, e dell’avvocato Francesco Arata. «Non per prescrizione, ma per non aver commesso il fatto – sottolinea Vernì – è messo nero su bianco». E racconta la sua storia di «vittima prescelta di soggetti che avevano un unico scopo: liberarsi dei dirigenti di ruolo competenti per potersi circondare di persone prive di ogni capacità (e possibilità) di controllo democratico, amministrativo e di legalità».
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