Il 24 giugno 2022 la Corte Suprema Usa annullava la sentenza Roe v. Wade, che garantiva l’accesso federale all’aborto, e tutto il mondo guardava la patria della libertà diventare irriconoscibile.
Invece mercoledì scorso la Corte Suprema messicana ha depenalizzato il reato di interruzione volontaria di gravidanza a livello federale. Il lungo cammino è nato al livello statale e dalle decisioni recenti e analoghe dei giudici colombiani e del legislatore argentino. Ma non solo: negli ultimi anni il Messico, secondo paese al mondo per popolazione cattolica, ha visto una crescita esponenziale del movimento femminista Marea Verde. Il lavoro sul fronte dell’interruzione volontaria di gravidanza non è tuttavia concluso: le donne che abortiscono rischiano ancora la denuncia e, seppure il fascicolo verrebbe archiviato, ciò non liquiderebbe le implicazioni emotive per chi compie una scelta già dolorosa.

In queste ore Human Rights Watch avverte che si potrebbero incontrare le obiezioni dei medici e le difficoltà di un sistema sanitario frammentato; inoltre in molti stati messicani non sono state condotte campagne di informazione sulla depenalizzazione e sono numerose le cittadine che ignorano i propri diritti. La politica ora deve tirare le fila concludendo il lavoro della Corte e, anche se il presidente uscente López Obrador non ha rilasciato dichiarazioni in merito alla storica sentenza, entrambe le candidate alla presidenza 2024 si sono dichiarate favorevoli.

Così il paese cerca di affrancarsi dalla visione di un’America Latina non allineata. Gli Stati Uniti non sono una solida sponda per il Messico: sull’aborto limitano la normativa allargando la rete clandestina delle pillole abortive in arrivo principalmente proprio dal Messico, e adesso – anche per l’aborto chirurgico – le americane potrebbero scegliere di passare la frontiera a sud.

Leda Colamartino - studente di Meritare l'Europa

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