Il Tribunale di Napoli è un esempio più unico che raro di edilizia giudiziaria che si sviluppa in verticale. Ha torri con 28 piani e finestre sigillate che rendono obbligatorio il ricorso all’aerazione. «Non so quanto questo attenga a un problema di sicurezza perché non faccio l’architetto ma, per l’afflusso che c’è in tribunale, costringere all’uso di ascensori una quantità enorme di pubblico e di addetti ai lavori è sicuramente un controsenso». Claudio Botti è uno dei pilastri dell’avvocatura napoletana. È stato presidente della Camera penale di Napoli dal 1996 al 1998 e vice di quelle italiane fino al 2002. Quando fu alla guida dei penalisti ci furono iniziative senza precedenti, come il Libro bianco sulla gestione della Procura di Agostino Cordova e la presa di posizione, successivamente al trasferimento della sede del tribunale da Castel Capuano alla cittadella del Centro direzionale, con un esposto per chiedere il sequestro dei locali, posti all’ingresso del tribunale su via Grimaldi, dove al tempo si svolgevano le udienze del Riesame.

Le torri del Centro direzionale sembravano una realtà troppo diversa da quella dove storicamente aveva avuto sede la giustizia napoletana. E gli uffici distribuiti su così tanti piani (fino a 28) davano alla realtà una forma che mal sembrava adattarsi alle reali esigenze del settore. «Fu uno dei momenti più traumatici che ha attraversato l’avvocatura nell’ultimo secolo, non solo perché si lasciava la memoria storica di questa professione ma perché si passava da un utilizzo orizzontale degli spazi a un utilizzo assolutamente verticale», ricorda l’avvocato Botti. Oggi che anche il mondo della giustizia si ritrova a fare i conti con le conseguenze della pandemia e la necessità di una nuova organizzazione di spazi e lavoro, la struttura del tribunale torna a essere vista come un ostacolo. «Adesso a maggior ragione la necessità di dover raggiungere gli uffici solo attraverso l’ascensore è l’antitesi di un criterio di sicurezza e di distanziamento – osserva l’avvocato Botti – E poi c’è un paradosso: quando siamo entrati in questo tribunale, l’ingresso era un ampio ingresso e c’erano due scale mobili e due ascensori che funzionavano.

Da un tempo infinito le scale mobili, che in una situazione di emergenza sanitaria sarebbero anche un buon mezzo per accedere agli uffici perché sono in uno spazio aperto, sono fuori uso e dei due ascensori ne funziona soltanto uno, per cui tutti coloro che accedono dalla piazza Coperta devono fare tre piani di scale a piedi oppure utilizzare l’unico ascensore che funziona. In nessun condominio privato un ascensore sta fermo per più di 24 ore, come è possibile che al tribunale di Napoli non si riesca a organizzare un minimo di manutenzione? Quindi, alla fine, tirare fuori dal cilindro il discorso della mail per l’accesso in tribunale mi sembra scartare a priori o aver esplorato inutilmente tutta un’altra serie di possibilità più pratiche e più efficaci».

Alle criticità logistiche si aggiungono poi quelle di natura organizzativa. «All’interno di questo involucro mettiamoci poi un’organizzazione delle udienze che non è riuscita ad adeguarsi alla nuova situazione – sottolinea il penalista – Il tema dell’organizzazione delle udienze su fasce orarie è il nodo centrale perché attorno all’udienza si dosa la quantità di persone che devono entrare utilmente in tribunale. I capi degli uffici fanno degli sforzi e ci sono protocolli del presidente del tribunale assolutamente dettagliati, ma nella realtà vengono disapplicati quotidianamente. Bisognerebbe creare un anno zero per essere pronti, quando questa emergenza finirà, a una gestione più funzionale e razionale».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).