C’è un aggettivo usato dagli storici e accolto dai giuristi per definire l’accomodarsi nella tradizione, aderire a un’abitudine, con accento talvolta pigro e poco incline a osare o semplicemente a modificare: tralatizio. Questa espressione potrebbe ben appiccicarsi all’idea d’Europa che circola in Europa tra gli europei e, quel che è peggio, tra i leader politici. Un’Europetta di burocrazie, di piccoli e grandi egoismi nazionali, con lo sguardo rivolto al piacimento locale e non all’urgenza di esistere come entità sovranazionale, masticando sì parole d’ordine magniloquenti – come quelle recitate come un mantra sulla solidarietà tra i paesi membri nell’accoglienza dei migranti – ma poi dimenticate nella prassi quotidiana del rimestamento dell’acqua nel mortaio, rivenduta con i colori che si vuole a uso interno. È questo il menù che si sta allestendo per l’appuntamento elettorale di giugno, e che, c’è da giurarci, farà fatica a motivare le ragioni di una partecipazione popolare al voto. Il che, tra l’altro, significherebbe caduta ulteriore di legittimazione per il nuovo Parlamento.

Una spanna sopra gli altri

Questo clima “tralatizio”, che non trova nei governanti dei maggiori paesi europei grandi reazioni ma solo conferme di una visione ripiegata sul piccolo mondo antico della propria nazione, viene scosso con energia politica e argomenti da Emmanuel Macron prima nel suo discorso alla Sorbona e poi nell’intervista all’Economist. Il presidente francese può piacere o no, ma bisogna riconoscergli di essere di qualche spanna sopra altri suoi colleghi. Intanto perché qualche lettura l’ha fatta e, di questi tempi, la cosa non guasta: la scelta della Sorbonne, che già fu teatro sette anni fa della sua prima orgogliosa allocuzione in cui lanciava una sorta di “sovranismo europeo”, per declinare il suo pensiero europeista, è in sé un messaggio politico che parla alle vecchie e nuove generazioni e al mondo intero.E parla non delle baruffe chiozzotte che pure attraversano la politica francese – non esiste un El Dorado delle politiche alte quando si confligge nel brodo locale – ma d’Europa e di geopolitica globale.

Le guerre dietro l’uscio

E così assume, nell’omissione di parola su questi temi fatta colpevolmente dagli altri, il ruolo di leader nel panorama continentale. Cos’ha detto, allora, di così importante il presidente francese? Ha gridato e argomentato sul declino inarrestabile dell’Europa, sulla sua morte per consunzione, sulla necessità ora, subito e convintamente di una scossa. Ha parlato di difesa comune, pilastro di una vera politica estera condivisa, ribadendo il concetto nell’intervista all’Economist che non ha mancato di sollevare allarmi e preoccupazioni nei commentatori politici, come annuncio di una visione bellicista, e tuttavia interpretabile pienamente alla luce della sua lectio sorboniana. In quel discorso, infatti, Macron spingeva per una revisione delle regole d’ingaggio riferita all’assunzione delle decisioni comuni in UE, oltre l’unanimismo imposto dai Trattati. Macron ha parlato, dunque, delle guerre dietro l’uscio di casa e del ridisegno di equilibri nel globo.Ha dato voce, insomma, a quello che qualsiasi cittadino europeo di media cultura che non disdegni di dare qualche sbirciata al dibattito pubblico nel mondo, pensa e si domanda. Il mondo sta riprogrammando i suoi scenari: forse abbiamo ancora davanti agli occhi una foto ingiallita da 79 anni di storia, quella di Yalta, dove Roosevelt, Churchill e Stalin si divisero il pianeta.

La sfida

Ebbene, quel mondo non c’è più: l’Unione sovietica è morta, se ne faccia una ragione Putin, e la Russia è solo una potenza regionale; il Regno Unito anche di meno. Resta in piedi l’America ma nel nuovo ordine mondiale due colossi asiatici hanno già conquistato posizioni di grandezza assoluta: la Cina, innanzitutto, e poi l’India.Davvero noi europei crediamo di stare in un mondo di colossi nell’ordine sparso e sgangherato che caratterizza oggi l’UE? Davvero pensiamo che una soggettualità politica europea piena, autonoma e operante non possa essere essenziale per la sua capacità di deterrenza anche come interposizione dialogante nelle crisi che ci circondano sfociando in guerre disastrose? Davvero pensiamo di non mettere mente al fatto che la finanza digitale, ormai imperante, ci fa colonie degli over the top – i padroni del web – americani e cinesi, senza tentare neppure una via comune europea al digitale?Macron, piaccia o no, è stato capace di lanciare la sfida in assenza di manifestazioni di esistenza in vita da parte degli altri colleghi europei, e di questo gli va dato atto. Certo, qualche schizzo di grandeur qua e là sarà pur affiorato e il soffio gelido di un grido bellicista, soprattutto con l’intervista all’Economist, l’ha fatto percepire.

Ma Macron va letto tutto, Sorbona compresa. Forse così si capirà la portata della sua scossa: un invito a buttar via il “tralatizio” e a fare la nuova UE. Più forte, più unita, più consapevole del suo ruolo nel mondo globale.