Matteo Pugliese è ricercatore italiano all’università di Barcellona. I suoi studi sulla propaganda russa in Italia sono stati citati dal Guardian e da Foreign Policy. Ha partecipato al primo congresso europeo sulla disinformazione organizzato dall’università Carlos III di Madrid e Stopfake.org, una ONG ucraina impegnata nella lotta contro le fake news online.

Cosa è emerso dal congresso?
«Il congresso è stata l’occasione per confrontarsi con ricercatori, esperti e giornalisti provenienti da tutta Europa. I lavori hanno analizzato la minaccia attuale della disinformazione in Europa e sono state messe in evidenza le tecniche russe e iraniane per diffondere le proprie ricostruzioni distorte degli eventi. Il congresso ha anche proposto azioni per rafforzare la capacità di fact-checking dei media e delle università».

Tu hai presentato un lavoro sulla televisione italiana e gli “influencer” del Cremlino. Ce lo spieghi?
«L’Italia era già finita sulle pagine della rivista statunitense Foreign Policy e del Guardian per la presenza di propagandisti russi e molti ricercatori a Madrid mi hanno confermato che si tratta di un caso senza eguali in Europa. La mia ricerca si è concentrata sui primi mesi di invasione dell’Ucraina e ha contato almeno 21 propagandisti russi che hanno partecipato per 67 volte a programmi televisivi, specialmente su Rete 4 e La 7. Per propagandisti russi intendo quei “giornalisti” di media controllati da Mosca, alcuni connessi al Ministero della Difesa o all’FSB, a diplomatici russi come Lavrov e Razov, ma anche a ideologi come Dugin e docenti universitari legati a doppio filo con il regime. Oltre a questi 21 soggetti ne ho contati almeno altri 10 con passaporto russo che sono stati ospitati almeno 18 volte e pur non avendo un esplicito collegamento con il Cremlino ripetono le stesse narrazioni. A tutti questi vanno aggiunti gli opinionisti italiani, che possono essere classificati come “rosso-bruni”, spesso senza competenze specifiche in relazioni internazionali o Ucraina, chiamati comunque a dire la loro».

Che risultati ha prodotto questa campagna?
«I propagandisti di Mosca hanno potuto raggiungere milioni di spettatori e diffondere falsità conclamate sul conflitto, come le storie sulla giunta nazista di Kyiv, l’inesistente genocidio in Donbass e la promessa di non espansione della NATO. Non è un caso che dai sondaggi di maggio e giugno 2022 risulti che l’opinione pubblica italiana sia tra le più confuse e disorientate in Europa sulle cause e responsabilità della guerra».

In questo scenario come deve cambiare la professione giornalistica?
«Su questi temi giornalisti, ricercatori e analisti devono necessariamente lavorare in squadra per completare con le proprie competenze le capacità di ricostruire situazioni complesse. Stanno emergendo nuove figure specializzate, quella dell’analista OSINT che può geolocalizzare una foto, smascherare un deepfake ma anche la figura del fact-checker o debunker».

Che scenario ci aspetta per le elezioni europee?
«Per le elezioni europee è previsto un aumento di disinformazione anti-europeista, sia da parte di attori interni ai vari paesi sia di regimi ostili intenzionati a indebolire l’Unione. Abbiamo già visto che la Russia, con la fabbrica di troll messa in piedi dal defunto Prigozhin, spingeva molto ad acuire i sentimenti xenofobi e le divisioni etniche, ma anche i problemi sociali in occasione della pandemia. I moldavi fermati per le stelle di David dipinte sui muri di Parigi avevano ricevuto istruzioni dalla Russia e l’agenzia francese contro la disinformazione Viginum ha ricostruito il ruolo della campagna russa “Doppelganger” per amplificare questo caso di antisemitismo su Twitter con profili bot».

Sul Riformista abbiamo parlato spesso nell’ultimo mese della situazione Twitter, che con la nuova gestione sembra essere diventato terreno assai fertile per diffondere disinformazione. Cosa ne pensi?
«La sindaca di Parigi Anne Hidalgo ha appena annunciato di abbandonare Twitter/X proprio perché Musk l’ha trasformato in un far west dove troll e fanatici possono nascondersi dietro pseudonimi mentre diffondono odio, disinformazione e complottismo. Alcuni lo fanno di propria iniziativa, ma ci sono anche operazioni da parte di Russia, Cina e altri. La Commissione Europea è ai ferri corti con il miliardario affinché ponga fine alla diffusione di questi contenuti in violazione con le norme UE».

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva