Il tanto agognato “pezzo di carta” serve? Senza dubbio sì. È un’importante chiave per accedere al mondo del lavoro? Anche questo è vero. Offre uguali chance occupazionali a tutti i laureati d’Italia? Certo che no. Secondo uno studio condotto dal consorzio Almalaurea, infatti, in Campania, a un anno dal conseguimento della laurea triennale, solo il 58,5% dei giovani laureati trova lavoro. Stessi numeri per quanto riguarda la laurea di secondo livello.

Ancora, il tasso di disoccupazione, invece, è pari al 25,3%. Lo scenario cambia radicalmente se si analizza il post laurea dei giovani che vivono in Lombardia: a un anno dalla triennale il 75,1% di loro sbarca sull’”isola felice” del lavoro e del guadagno, portando il tasso di disoccupazione al 13%. Anche in Veneto trovare un lavoro a un anno dalla laurea sembra più semplice che in Campania: poco dopo la discussione della tesi trova lavoro il 73,3% dei laureati, mentre il tasso di disoccupazione si ferma al 14,2%. Anche il Lazio, che per numero di abitanti ed età media si avvicina molto alla Campania, raggiunge percentuali decisamente migliori di quelle della regione governata da Vincenzo De Luca: il 69,2% dei laureati trova lavoro dopo la laurea triennale e i disoccupati non superano quota 16,4%.

«Il divario tra gli effetti della laurea al Nord e nel Mezzogiorno – commenta Marcello D’Aponte, professore di Diritto del lavoro all’università Federico II di Napoli – dimostra, ancora una volta, che la questione meridionale è una questione nazionale, sottovalutata dalla classe politica del nostro Paese. Atteggiamento che ha incrementato ulteriormente il gap tra Nord e Sud con la conseguenza che i laureati del Mezzogiorno hanno maggiori difficoltà a entrare nel mondo del lavoro e, soprattutto, che dopo la laurea manifestano la tendenza a trasferirsi al Nord o nel resto d’Europa. Il che alimenta la crisi del sistema Paese nel suo complesso». I dati del report stilato da Almalaurea mettono in luce, ancora una volta, quanto le opportunità lavorative siano diverse da regione a ragione, nel quadro di un’Italia sempre più frantumata e con differenze marcate anche tra i contratti di lavoro e le retribuzioni.

In Lombardia il 28,2% degli occupati può contare su un lavoro con contratto a tempo indeterminato, il 39,4 è invece inquadrato con contratto a tempo determinato, il 12,8 svolge attività da libero professionista e il 20,4 è impegnato in un lavoro part–time. Lo stipendio medio per loro è di circa 1.295 euro mensili netti. In Campania, invece, il 26% dei laureati ha un contratto a tempo indeterminato, il 35,4% a tempo determinato. Come si supera questo gap? «Bisogna ridurre l’incidenza delle politiche assistenziali a favore delle politiche di sviluppo – continua Marcello D’Aponte – Esperienze come quelle del reddito di cittadinanza possono servire nel breve periodo a dare un aiuto per risolvere problemi contingenti, com’è accaduto durante la pandemia, ma non servono a creare sviluppo e lavoro. Le università dovrebbero disporre di maggiori opportunità e maggiori finanziamenti, quelle del Mezzogiorno in misura addirittura più estesa rispetto a quelle del Nord Italia, per favorire relazioni più mature con il sistema produttivo».

Il concetto di ateneo inteso esclusivamente come culla del sapere, dunque, va rivisto. «L’università deve trasformare il sapere in azioni concrete e quindi occorre creare un forte collegamento con il sistema economico e produttivo – conclude D’Aponte – Esempi come quelli della Apple Academy rappresentano un modello virtuoso in questa direzione che, come tale, non può e non dev’essere ignorato. Occorre poi rafforzare la pubblica amministrazione che al Sud sconta ritardi enormi: servono consistenti interventi e investimenti pubblici che siano funzionali all’efficientamento della macchina degli enti pubblici, assunzioni di figure nuove e più motivate, digitalizzazione per agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro e renderlo più dinamico e vivace».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.