La XII edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli si è aperta nel nome di Mario Paciolla, cooperante Onu napoletano trentatreenne, trovato morto in Colombia in oscure circostanze, ormai quattro mesi fa. Il festival, che vanta una fiera impronta politica incentrata sulla tutela e sull’espressione dei diritti umani tramite il mezzo filmico, si terrà eccezionalmente in via telematica dal 18 al 28 novembre, e per questa stagione avrà come titolo –  “Diritti in ginocchio – Pandemia, Sovranismi e Nuove discriminazioni”.

Ne hanno discusso, nel corso della videoconferenza inaugurale,  il Coordinatore del Festival Maurizio del Bufalo e il coordinatore del Concorso Mario Leombruno, alla presenza, tra gli altri, dei genitori di Mario, del legale della famiglia e dell’Assessore alla Cultura del comune di Napoli Eleonora De Majo. Il festival si articola in numerose sezioni, offrendo un programma ricco e variegato, che prevede anche incontri e proiezioni dedicati ai diritti dei migranti e alla condizione dei detenuti, tutti eventi fruibili gratuitamente, online. Focus di  questa edizione,  il rapporto tra la pandemia e la tutela delle libertà fondamentali delle nostre società.

Temi che avrebbero suscitato sicuramente l’interesse di Mario,  morto in circostanze ancora da chiarire in un paese soffocato dalle contraddizioni politiche, quella Colombia che con il suo impegno quotidiano voleva contribuire a cambiare, mentre era ancora nel fiore di una vita dedicata anima e corpo alla tutela e al racconto dei diritti universali e delle parabole esistenziali delle categorie sociali meno rappresentate e difese del pianeta.

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Giornalista, attivista, giocatore di basket,  studioso, poeta, infaticabile viaggiatore. Mario era uno dei tanti giovani Ulisse del nostro tempo, pronto a varcare innumerevoli confini e a superare con coraggio ostacoli e avversità, il tutto  per amor di conoscenza, giustizia e verità. Ma il ritorno nella sua Itaca, quella Napoli che portava nel cuore e di cui si faceva nobile portavoce, non avverrà mai.

Mario si trovava a San Vincente del Caguàn nell’ambito di una missione ONU. Il suo lavoro era volto principalmente alla supervisione dell’applicazione degli accordi di pace siglati nel 2016 tra le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) e il governo colombiano. L’applicazione degli accordi non stava dando gli esiti sperati, e Mario era molto insoddisfatto della piega che stavano assumendo gli eventi. Scosso e deluso, non ha mancato di comunicare alla sua famiglia la sinistra sensazione di “non sentirsi più al sicuro”, e stava organizzando il suo rientro in terra natia: un volo umanitario avrebbe dovuto riportarlo nella sua Napoli il 15 luglio. Ma sarà proprio in quella fatidica data che i suoi colleghi lo ritroveranno senza vita, con quei segni sospetti sul corpo che hanno instillato fin da subito il dubbio legittimo di trovarsi di fronte ad un suicidio simulato.

Mario non era uno sprovveduto, e prima di questa missione aveva lavorato in altri scenari complessi quali Argentina o  Giordania, mettendo a frutto il bagaglio culturale dei suoi studi politici,  capacità di scrittura e di analisi  fini e taglienti e quella sete di giustizia che spinge molti giovani ad intraprendere una strada fatta di responsabilità e di sacrifici com’è  quella della cooperazione internazionale. Precedenti esperienze maturate con le Brigadas Internacionales de Paz a Bogotà ci parlano di un professionista ben consapevole del contesto difficile in cui versava la Colombia. A partire dal suo ritrovamento, in Italia e in altri paesi  si sono susseguite una serie di iniziative indirizzate a fare pressione sulle istituzioni affinché possa essere fatta piena luce su un episodio che rimanda tristemente a numerosi altri casi di morti o sparizioni sospette di soggetti attivi nel contesto della cooperazione internazionale in quei territori.

Nell’appello lucido e commosso dei genitori, che vi riproponiamo, emerge la speranza che chi abbia elementi utili a far progredire le indagini possa decidersi a parlare, vincendo le resistenze dettate dalla paura e dall’omertà. “Chi sa parli, per non rendersi complice di un delitto”, esorta Anna Motta, mamma di Mario. Chi sa, parli, per non avvelenare quell’ ideale di giustizia e verità che rappresentava il movente profondo dell’avventura umana e intellettuale di Mario, incarnazione esemplare di uno spirito avido di sapere e desideroso di pace, un’ anima piena di energia che nessuno riesce a credere capace di togliersi la vita, senza un saluto, con già pronto il biglietto per tornare in Italia.  Il Festival si unisce all’appello della famiglia, del Comitato “Giustizia per Mario Paciolla”,  e dell’Avvocato Alessandra Ballerini, già legale della famiglia Regeni, chiedendo che il governo pretenda maggiore collaborazione da parte delle istituzioni colombiane e invitando le Nazioni Uniti ad una collaborazione finalmente piena e trasparente. Già in passato il Festival aveva preso posizione per difendere il lavoro e l’impegno dei nostri cooperanti, ormai sempre più spesso esposti a pericoli e a ritorsioni, come di recente per il caso di Silvia Romano.