Diversità e Inclusione addio, Google si accoda ai BigTech per compiacere Trump

Diversità e inclusione addio. Dopo Meta e Amazon, adesso è Google ad abbandonare i programmi Diversity & Inclusion (D&I). Lo fa in maniera ancora più spregiudicata dei suoi predecessori, che avevano annunciato la scelta un sabato pomeriggio, quindi a Borse chiuse. In modo da far decantare la notizia e aspettarne le reazioni il lunedì successivo. Google no. Non attende. Lancia il sasso il venerdì. Il vetro è stato ormai infranto e i mercati sono vaccinati. E infatti ieri a Wall Street, Alphabet, la controllante del gigante di Mountain View, ha chiuso in positivo.

Sono stati in molti a essersi stracciati le vesti per questo cambio di rotta. Collera e delusione sono serpeggiati in chi vedeva nelle Big Tech un futuro di pari opportunità per tutti. Per poi essere smentiti dall’allineamento non più con Obama – a suo tempo – bensì con il “cattivo dei cattivi”. Tuttavia, l’interruzione del fact checking e dei progetti D&I è piovuta dall’alto come dall’alto era stata imposta. Si è soliti dire infatti “follow the money”. Ma poi ci si dimentica che il denaro segue i consumatori. Quindi è incorretto pensare a queste mosse esclusivamente come a un allineamento con la nuova leadership a Washington. Dopo anni di politicamente corretto, il mercato si è detto saturo e le imprese hanno scelto di tornare indietro. Come nella moda, nell’automotive, o in altri campi del consumo diretto.

Tuttavia, è necessario porsi due domande: cosa succederà tra quattro anni, alla fine della Presidenza Trump? Queste mosse sono sostenibili anche da imprese più piccole? Ammesso e non concesso, come si diceva, che Meta, Amazon e Google l’abbiano fatto per compiacere The Donald, il mandato di quest’ultimo ha vita breve. Quattro anni. Poi si tornerà al voto. E cosa succederà se il prossimo Presidente Usa avrà invece un approccio alle cose come quello di Kamala Harris? È plausibile. Il rigetto indiscriminato alle politiche della parte sconfitta è tra le priorità dei vincitori. Certo, di fronte a Elon Musk, che alla Casa Bianca ci vive, e ancor più avendo a mente le dimensioni di investimenti con cui il governo Usa vuole pompare la transizione digitale – si parla di 500 miliardi di dollari, ma saranno di più – per le Big Tech sarebbe stato improponibile restare fuori dai giochi. Ci sono partite che devi affrontare. Anche ob torto collo. E in ogni caso, la celerità delle decisioni lascia intendere che i progetti D&I fossero tutt’altro che sinceri.

Detto questo, gli altri? Le major della digitalizzazione dispongono di una solidità industriale e finanziaria tale da potersi permettere questi e altri giri di walzer. Ma altre imprese? In questi anni, le iniziative D&I si sono dimostrate virtuose nel miglioramento dei posti di lavoro. Un’organizzazione diversificata favorisce l’innovazione, la creatività e la produttività. Secondo l’Osservatorio sulla Formazione Continua, think tank implementato da Edflex Italia, azienda tecnologica specializzata nell’upskillig/reskilling professionale, le aziende con fondatrici donne generano entrate superiori di 2,5 volte per ogni dollaro investito rispetto a quelle guidate da uomini, con un Roi più alto del 35%. Gli investimenti in D& I sono soldi ben spesi, quindi.

Ma anche necessari, in quanto, se un imprenditore vuol fare del suo stabilimento “a place to be”, non si può affidare alla spontanea iniziativa del proprio staff. Sempre dall’Osservatorio, emerge come i contenuti D&I rientrino nella Top-5 dei contenuti più raccomandati dalle aziende italiane, che dimostrano così una spiccata sensibilità al tema. Tuttavia, se lasciati alla libera ricerca e fruizione, non rientrano quasi mai nella Top-10 degli argomenti scelti spontaneamente dalle persone.

Questo lascia intuire quanto lavoro ci sia ancora da fare a livello di sensibilizzazione culturale. Per le aziende quotate in borsa, poi, l’adozione di politiche D&I è spesso correlata a una maggiore attrattività per gli investitori. La presenza di una forza lavoro diversificata può ridurre il turnover, trattenere i migliori talenti e incoraggiare la partecipazione dei dipendenti, elementi che contribuiscono alla solidità finanziaria dell’azienda.

Ma la reputazione non si misura soltanto nei listini finanziari. Un lavoratore che si vede privato in azienda di facility culturali e sociali su cui contava è anche un consumatore che può boicottare un brand altrettanto censurato in piani D&I. Questo è un tema che, per una Casa Bianca così sensibile al business, potrebbe rivelarsi un problema. Economico, ma anche politico. Diversità e inclusione. E se fosse solo un arrivederci?