Ingiocabile. Di fronte ad un «replicante» che quando è messo alle strette assume anche lo sguardo del killer, nulla può fare il pur determinato e bravo Jannik Sinner. La finale della 136 edizione del Championships sarà tra Nole Djokovic e l’altro «replicante» seppure di ben sedici anni già giovane che è il giovanotto di Murcia che si chiama Carlitos Alcaraz. Il serbo liquida in tre set e due ore e 48 minuti l’azzurro (63-64-76). Per lo spagnolo, in campo contro il numero 3 il russo Danil Medvedev, la faccenda è ancora più veloce: tre set (63-63-63) e due ore di gioco. La finale dello Slam più bello vedrà contro i migliori, il numero 1 e il numero 2 del seeding. Il campo non mente. Lo sport, specie individuale come il tennis, neppure.

Ora però sarebbe sbagliato liquidare come una semplice sconfitta quella di Jannik Sinner. Oltre ad essere arrivato nei magnifici quattro del torneo, contro Djokovic l’azzurro ha fatto quello che era giusto fare: variare, cambiare ritmo, non dare quei punti di riferimento fissi sulle diagonali da fondo campo che nel serbo producono automatismi implacabili e micidiali. Dunque Sinner non ha giocato male a Wimbledon e sta facendo bene nella stagione giunta ormai ad oltre la metà. E i numeri dicono ancora altro: con 3175 punti affianca il greco Tsitsipas nella race verso le Finals di fine anno a Torino. Sinner è numero 8 della classifica, il greco numero 4 e però – al netto di disastri nei prossimi mesi – Sinner è già sicuro tra gli otto maestri che si contenderanno il titolo di The Master.

Tutto ciò detto e promesso, è anche giusto ammettere che l’azzurro non ha ancora i mezzi per avere la meglio sul grande serbo. Nulla di male o di non recuperabile. Djokovic, 36 anni, è nella terza fase della sua straordinaria carriera, Sinner (21) nella prima. E nel tennis l’esperienza, la consapevolezza di sé, la maturità possono fare più della giovane età e della tecnica. Diciamo che Jannik deve ancora scrivere il suo futuro, Nole lo sta affinando per concludere l’impresa che non è mai riuscita a nessuno: il 33 slam, l’ottavo trofeo a Church road e – soprattutto – il Grande Slam, la vittoria nello stesso anno dei quattro tornei major. L’ultima volta c’è riuscito Rod Laver ma correva l’anno 1969 e il tennis viveva la sua prima stagione Open, da professionisti. Un’era geologica fa.

La differenza più grande è ancora nei punti cruciali. Quando si è trovato nel secondo gioco del terzo set con due pesantissime palle break a favore, Sinner è stato sottoposto a quello che ormai in gergo si chiama «trattamento Federer»: correva l’anno 2019 e nella finale contro Federer a un passo dal suo nono trofeo inglese, il serbo annullò con una freddezza da killer ben due match point allo svizzero per poi andare a vincere. Uno choc da cui Roger non si è più ripreso.

Soprattutto sull’erba Djokovic non sbaglia e mette in campo il terzo uomo: la sua glaciale sicurezza, l’automatismo anche mentale per cui se quel punto è importante non sarà sbagliato. Può succedere all’avversario, ma il serbo non sbaglia. Cosa che invece fa il normodotato – si fa per dire – Jannik Sinner. Nel terzo set i due set point sul 5-4 per Sinner sono stati dilapidati con un rovescio e un dritto fuori. La grande occasione sprecata è stata nel tie break del terzo set: in vantaggio 3-1, l’azzurro ha infilato quattro gratuiti (35 totali contro 21 di Nole) tra cui un doppio fallo che hanno ridato sicurezza al serbo. Non sono bastate il 76% di prime palle di servizio, qualche bel passante e qualche altra finezza per battere Djokovic. Non ancora, almeno. E non ieri.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.