Bel Paese quello in cui il potere pubblico impedisce di farsi conoscere dai cittadini mentre si intrufola nella loro vita controllandone ogni movimento, ogni parola, ogni libera (per modo di dire) determinazione.  Mi pare che nessuno abbia con qualche energia denunciato la strepitosa stortura di una società governata da un potere che appunto si rende inaccessibile secretando il proprio operato proprio quando si abbandona alla più pervasiva attività di indiscriminato spionaggio nei confronti dei cittadini: sudditi con il dovere di sopportare il coprifuoco e le multe se non vi si uniformano, ma senza il diritto di sapere in base a quali criteri e giustificazioni sono state disposte quelle compressioni tanto gravi delle loro libertà elementari.

Ma è successo esattamente questo nella faccenda dei verbali del Comitato tecnico scientifico sull’emergenza sanitaria e nei maneggi del governo per tenerseli stretti. È successo che il governo, mentre apprestava in modo illegittimo il proprio dispositivo di contenimento dell’epidemia, si preoccupava di impedire che i pareri tecnici e i dati sullo sviluppo del contagio, spesso inaderenti alle decisioni poi adottate, finissero nella disponibilità della stampa. E, pur quando richiesto di renderli disponibili, il governo, che a dire del suo capo non aveva «niente da nascondere», si opponeva con tutte le forze: finché un giudice ha rimosso quel diniego a sua volta illegittimo. Altro che la «linea di trasparenza» di cui cianciava il ministro Speranza.

Un esempio soltanto, tra i tanti. I cittadini avevano il diritto di sapere che le mascherine erano originariamente “superflue” non – come si lasciava intendere – perché il virus non ne imponesse l’adozione, ma – come si sottaceva – perché non ce n’erano abbastanza: e quel diritto è stato conquistato non grazie al governo che lo assicurava ma contro il governo che lo negava. Salvo poi, superato il problema al prezzo di centocinquanta medici defunti, elevare la mascherina ad accessorio imprescindibile anche mentre passeggi in un campo deserto: il tutto, ovviamente, e cioè sia il lassismo pregresso sia il terrorismo conseguente, identicamente ammantato dallo scientismo messo a schermo dell’irresponsabilità di governo che “consentiva” o “non consentiva” sempre sulla scorta di quel pretestuoso criterio oracolare. Con questo, di peggio: che non era nemmeno vero che il governo si uniformasse ai protocolli suggeriti dai tecnici, le indicazioni dei quali erano ostentate quando faceva comodo e invece ben nascoste quando non cadevano in taglio.

E a fronte del segreto, della censura che il potere pubblico pretendeva sul proprio operato? Ecco cosa: la più invasiva e autoritaria opera di intromissione del potere pubblico nella corrispondenza, nelle relazioni, nel quotidiano esercizio dei diritti minimi dei cittadini, con un malandrino di Stato cui una legge incivile, illiberale, antidemocratica conferisce il diritto di intercettare, spiare, auscultare, registrare e schedare ogni attimo di vita di chiunque. Ma è per il nostro bene che il potere pubblico ci impediva di conoscere i suoi movimenti. Ed è per il nostro bene che il potere pubblico ha facoltà di conoscere i nostri.