Ci sono storie personali che proprio perché di una “persona” – ché altro è individuo, individualismo e via cantando – sono storie di raccordo con molte altre persone, storie sociali, storie che fanno la Storia.

Questo «Don Colmegna: al centro dei margini», firmato da Andrea Donegà per Homeless Book, appartiene ed individua questa tipologia: di figura, di vicenda e di racconto. Protagonista, argomento del dire e co-autore di fatto, per il lungo narrare in intervista che struttura il libro, è don Virginio Colmegna, prete ambrosiano, “conciliare” e “martiniano” – i due termini si specchiano – che ripercorre la vita ed una vocazione, la sua, che lo ha condotto ad essere Direttore della Caritas ambrosiana, fondatore (con quel cardinale-biblista) della Casa della Carità e riferimento per decenni di esperienze attive di accoglienza e di sostegno sociale incardinate nelle periferie della metropoli lombarda, aperte ad ogni forma di aiuto per chi subisce e sperimenta forme di emarginazione, di disumanità sociale, di miseria sovente prossime all’estremo del vivere.

La struttura del racconto, per 190 pagine di testo, è fatta di testimonianze, di annotazioni che dicono il contesto e suggeriscono – questa è d’altronde la Storia – interpretazioni e suggestioni al capire. Lo stile stesso di scrittura finisce con l’essere immagine di quanto viene raccontato. E poco importa che quanti testimoniano siano, di volta in volta, approdati poi a ruoli di rilievo pubblico o meno noti, se non nel proprio ambito, rimasto spesso il medesimo in cui ciascuno è stato presente insieme a don Virginio: a Bovisa, ma prima a Saronno, e a Sesto San Giovanni, e a Cascina Colombo…

La visione che del tutto è supporto è quella di un prete che “si fa popolo”; laico dunque, essendo laos nell’etimo greco e nella lingua del Concilio, appunto popolo e moltitudine radunata all’interno di uno sguardo di società, di comunità, di speranza, di Dio.
Centro di questo operare sui margini sono i poveri: i poveri secondo il Vangelo e nel delinearsi della multiforme presenza sociale che oggi li individua. Si incontrano, scorrendo pagine ed esperienze, lavoratori cacciati dal lavoro e famiglie lasciate senza casa, persone con difficoltà fisiche o mentali, rom minacciati dalle ruspe di “pulizie” municipali, bambini da recuperare alla scuola con i doposcuola del dopo-Barbiana e dei decenni a seguire, “barboni” – nel lessico milanese antico – da recuperare ad occasioni di lavoro e dignità personale, giovani e meno giovani da inserire in comunità di vita sfilandone le esistenze da storie drogate … E mai – mai – si parla di mera assistenza: tutti gli interventi hanno l’intento di cammini verso l’autonomia personale ed hanno lo strumento della comunità che opera, tra la solidarietà e, inattesa per molti, la cultura: così si incontrano orchestre composte da questi “marginali” e serate di storia e società (per aiutare a capire), qualche pubblicazione e molte invenzioni sul genere della rivista “Scarp de tenis”.

Il “Si, si. No, no” evangelico fonda un modo, una vita personale, un intreccio di molte vite che hanno capito esistenzialmente oltre che per vie di sapienza, come i margini sociali vissuti da persone siano l’altro capo della spirale – una realtà centrale, dunque – dello sviluppo industriale o post/industriale, finanziario e globalizzato, prima o dopo la pandemia, e anche al compiersi della prima fase di globalizzazione. Su questi criteri si fondano – al centro dei margini – prospettive di futuro.

Renzo Salvi

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