In sala ho toccato con mano l’imbarazzo che c’era proprio tra i suoi sostenitori, certamente in maggioranza in sala, dove prevalevano gli evangelici conservatori. Poi c’è stato un forte recupero sulla questione della libertà religiosa: si è parlato a lungo dei perseguitati cristiani e di altre religioni. E il tema ha unito tutti, così come le parole centrali: «La fede ci mantiene liberi, la preghiera ci fa forti. Solo Dio è colui che crea la vita e dà grazia».

Alla fine, anche Trump ha affrontato il tema spinoso: “ama i tuoi nemici”. Ammettendo che a volte odia: «Sì, chiedo scusa. Sto cercando di imparare: non è facile. Quando ti mettono in stato di accusa per nulla e poi dovresti anche farteli piacere… Non è facile, gente: faccio del mio meglio».

A quel punto, anche quelli che – come mi hanno confidato in tanti – avevano pregato in cuor loro perché almeno oggi stringesse la mano a Nancy Pelosi, con la quale un millimetrico protocollo inventato per l’occasione ha evitato un faccia a faccia, si sono commossi. Il pentimento, anche un accenno di pentimento, se si mostra sincero, è molto apprezzato tra i cristiani americani. E gli ospiti di oltre 150 paesi, di cui alcuni italiani, come Giorgia Meloni, Alessandro Iovino e chi scrive queste righe, hanno vissuto lo spirito americano e l’essenza del National Prayer Breakfast.