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Donne al potere: ora mancano Quirinale, Palazzo Chigi e il “Corriere”
Grandi entusiasmi e sensazionalistici titoli di giornale hanno accolto la nomina della giurista Marta Cartabia, prima donna alla presidenza della Corte Costituzionale. Ma il primato di Cartabia riporta sull’etichetta la data di scadenza “entro e non oltre il 13 settembre 2020”. La sua nomina alla Consulta risale al 2011 e l’ufficio di giudice costituzionale non può durare per tutti i membri più di nove anni. Una sfortunata tempistica che si inserisce però armoniosamente nella puntata “Ok, ma non troppo” da sempre riservata alle donne al potere. Basta scorrere gli elenchi dei vertici delle maggiori cariche dello Stato per rendersi conto della totale assenza di donne elette alla Presidenza della Repubblica e al Consiglio dei Ministri, sebbene gli ultimi cinquant’anni abbiano visto una progressiva apertura delle alte schiere istituzionali. Risale al 1976 la nomina della prima donna alla carica di ministro, quella di Tina Anselmi, ministra del Lavoro durante il governo Andreotti, il primo con l’astensione del Pci. Un grande traguardo, specie se si pensa che nello stesso anno Adelaide Aglietta diventò la prima donna segretario di partito, quello Radicale.
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Se non fosse che il suo mandato sarebbe potuto vacillare al primo sguardo languido o “peccato disonorevole”, legittimati dall’allora vigente diritto d’onore, abrogato solo nel 1981. C’è da dire che Tina Anselmi ha fatto da apripista a una stagione più rappresentativa in politica. Checché ne dica Giorgio Carbone su Libero, Nilde Iotti non era «un’emiliana brava in cucina e a letto», ma la prima donna a capo della presidenza della Camera dei deputati nominata nel 1979 e in carica fino al ’92. Comunista, tre legislature, il più lungo mandato a Montecitorio, ma a vent’anni dalla morte, sarà ancora ricordata come «esuberante e prosperosa». Il primato del ministero dell’Interno appartiene invece a Rosa Iervolino Russo che entra al Viminale nel 1996, e pochi anni più tardi, nel 2001, si attesta pure come prima sindaca di Napoli. Menzione d’onore, poi, per Letizia Moratti che incarna una serie di primati: nel ’94 è stata la prima donna nominata alla Presidenza Rai, incarnando un altro ideale di donna tra le varie “signorine Buonasera”, e poi prima sindaca di Milano nel 2006 scommettendo sul progetto dell’esposizione universale e assicurandolo alla sua città. Nel ’95 è la Radicale Emma Bonino la prima donna italiana alla Commissione europea, mentre nel 2016 Virginia Raggi è la prima sindaca di Roma, e anche la più votata nella storia.
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A Palazzo Madama bisogna aspettare il 2018 per assistere all’elezione per la Presidenza del Senato di Maria Elisabetta Alberti Casellati, che è risultata la candidata più votata dal 1987. Facile notare come le candidature di donne si risolvano spesso in veri e propri plebisciti, sebbene anche in magistratura si registrino ritardi e primati. Ci sono voluti ben quindici anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione per vedere affermato il principio di uguaglianza fra i sessi nell’accesso alle cariche. È Letizia Martino, a soli 27 anni, a diventare la prima magistrata nel 1964, arrivando seconda al concorso, tra i pregiudizi per cui «una donna poteva educare, ma non giudicare, specialmente gli uomini». La presenza femminile a capo delle procure d’Italia è ancora un tabù, specie nelle grandi città che continuano ad essere presidiate da uomini, mentre a capo dei Tribunali italiani la presenza femminile si insidia solo nel 2007 con Livia Pomodoro a Milano, Sabrina Gambino a Siracusa e Valeria Fazio a Genova. Anche il mondo dell’informazione manca della guida di una donna: fu Daniela Brancati la prima donna a dirigere un telegiornale a diffusione nazionale, Ida Colucci alla direzione Tg2 e Concita De Gregorio a dirigere L’Unità nel 2008. Quando vedremo una donna a capo del Corriere della Sera o di Repubblica?
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