Incontriamo Paolo Crepet, psichiatra e scrittore, sociologo e educatore, per chiedergli un parere dopo l’aggressione dello studente che ha accoltellato la sua insegnante ad Abbiategrasso.

Professore, cosa succede ai giovani?
A tutti insieme niente. Molti prendono la pala e vanno a Forlì a spalare il fango e qualcuno prende il coltello di rambo per accoltellare la professoressa. C’è una componente delle giovani generazioni che assomiglia agli adulti: è conformista, ha perso la voglia di stupire. Ed è conformista anche chi prova a fare il rivoluzionario per gioco. Io vorrei dei giovani che dicono che è rivoluzionario impegnarsi nello studio.

Il Ministro Valditara li ha rassicurati: l’esame di maturità sarà sostanzialmente, ha detto, un colloquio aperto sul futuro.
Ha sbagliato, li ha umiliati. Ricorda quando diceva che i ragazzi devono agire con umiliazione, e poi si è corretto perché avrebbe voluto dire ‘umiltà’? Ecco, in psicanalisi si chiama lapsus freudiano. Voleva dire proprio umiliazione, e adesso lo ha reso noto. Perché dicendo ai maturandi che basta poco per passare un esame ha messo una mina sul loro percorso formativo.

Bisogna invece alzare l’asticella?
Perbacco, ma certo. Io ero contento da studente di superare esami difficili.

Stiamo insegnando loro a volare bassi?
Sì, ed è la cosa peggiore che si possa fare.

Forse li livelliamo verso il basso perché si è abbassato il tetto per tutti. A partire dagli adulti.
E questo è il punto. Gli adulti sono in competizione con i loro figli per chi è più giovane. Che si vestono con i jeans strappati e si fregiano di ascoltare gli stessi rapper che piacciono agli adolescenti. Questo è da Paese finito: perché se i ragazzi hanno come modello adulti immaturi, lei si immagina quale danno viene a prodursi, con il passare delle generazioni?

Sta facendo un discorso di ruoli, di ripristino delle gerarchie?
A me non piacciono i Manneskin, a mia figlia sì. Ed è sano che sia così. Questo rincorrere l’eterna adolescenza nasconde e prepara una grande contraddizione, l’indisponibilità ad essere autorevoli.

Questi adolescenti eterni, i genitori, fanno un po’ anche i bulli su altri della loro generazione: i professori. E vanno a scuola per contestarli, minacciarli – qualche volta anche fisicamente.
È come se fossimo tutti molto contenti di esserci inabissati in un fondale fangoso, forse perché è più comodo. Bisognerebbe fare una legge che impedisce ai genitori di entrare a scuola. ‘Si può essere ricevuti due volte l’anno, per i colloqui’, e stop.

Ripristinare la giusta distanza?
Come avviene in Svezia, dove hanno votato una legge che prescrive una serie di regole di rispetto per la scuola. Non tutti i Paesi sono votati alla deriva. E mi faccia dire una cosa, dopo giornate dedicate a Don Milani…

La dica.
Se oggi tornasse Don Milani e entrasse in una scuola a Abbiategrasso, rovescerebbe i tavoli. Lo abbiamo capito qual era la missione di Don Milani? Aprire la scuola a tutti perché chiunque potesse tirare fuori il meglio di sé e puntare a crescere. Oggi si bivacca qualche anno a scuola dando – e prendendo – il minimo.

Tornare a investire sull’educazione, quindi? Ripartire dalle regole, ma anche dalle risorse. Perché i nostri professori sono demotivati anche dagli stipendi da fame che prendono.
Verissimo. Io vorrei che i docenti, di ogni ordine e grado, fossero pagati il doppio. Da domani mattina. Il doppio. A patto però che lavorino di più, tenendo aperte le scuole fino a sera. I compiti vanno fatti a scuola, con un professore davanti. E quando si torna a casa si fa altro.

Torniamo sugli studenti. Hanno sofferto molto per il lockdown, lei lo aveva previsto.
Io dissi da subito che tenere i ragazzi a casa avrebbe creato un problema gigantesco. E non l’ho accennato: ci ho scritto due libri di denuncia e l’ho gridato in tutte le televisioni. Risultato: una valanga di tentativi di suicidio, anoressie di massa, vampate di violenza. Non ci voleva Freud per capirlo. Se ti mettono in prigione inspiegabilmente, da un giorno all’altro, e sei un adolescente, reagisci male. E finisci per non riuscire più a gestire la sofferenza.

A forza di isolarsi in casa, molti hanno iniziato a trasporre i videogiochi nella realtà. A vedere una vita ‘gamificata’, in cui la gravità è dissolta nella dinamica dell’azione veloce.
È così, certo. I videogames creano assuefazione, e quel che peggio: prossimità con la violenza. Fanno credere che sparare e colpire sia divertente, anziché un abominio. Me ne accorsi vent’anni fa quando un magistrato mi chiamò per una perizia sugli effetti di un noto videogioco che prevedeva punti premio per chi investiva con la macchina una vecchietta. Questi giochi hanno creato una pedagogia. Una pedagogia nera.

Una pedagogia criminale.
Sì, ed è purtroppo quella che ha vinto, che è stata accettata. Abbiamo contestato dei rischi per lo sviluppo dei fruitori di questi giochi ma dalla politica non ci ha ascoltati nessuno.

Torniamo sulla nota positiva che ci dava all’inizio. Tanti giovani fanno volontariato e vanno a spalare fango in Romagna.
Sì, sono tornati gli Angeli del fango. Che come quelli del 1966, sono la meglio gioventù. Dobbiamo puntare su di loro.

Come, in concreto?
Incoraggiandoli. Fargli fare un anno di Servizio Civile in giro per l’Italia. Fuori dalle palle i genitori, senza l’incubo di fare subito l’università. Regaliamo loro un anno sabatico, la possibilità di fare esperienza vera, di conoscere il nostro Paese. E di conoscersi meglio tra loro, di amarsi. L’amore nasce dalla libertà, dal parlarsi, dal vedersi. È la lotta che i giovani devono fare per conquistare spazio di libertà e di critica.

Cosa consiglierebbe a uno di loro, a un giovane che ci legge?
Vada alla maturità e dica: “Vi ringrazio per quell’idea di fare una chiacchierata sul futuro ma io preferisco parlarvi di Italo Calvino. L’ho letto e mi è piaciuto, vi spiego perché”.

Aldo Torchiaro

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