La riforma improrogabile
Dopo gli scandali cambiare la magistratura è un dovere per le istituzioni
In occasione della cerimonia commemorativa delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, svoltasi a Palermo lo scorso 23 maggio, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto nuovamente sulla crisi della Magistratura, rilevando che “sentimenti di contrapposizione, contese, divisioni polemiche all’interno della Magistratura” ne compromettono “il prestigio e l’autorevolezza”. Ha di nuovo ammonito – segno di una forte preoccupazione, rinnovata perché disattesa – che «la credibilità della Magistratura e la sua capacità di riscuotere fiducia sono imprescindibili per il funzionamento del sistema costituzionale e per il positivo svolgimento della vita istituzionale».
Quella del Presidente è una preoccupazione che nasce senz’altro dalla cronaca di questi ultimi due anni, caratterizzata dalla divulgazione delle intercettazioni del cellulare di Palamara, dalle manovre delle correnti per condizionare le decisioni del Consiglio superiore della magistratura (Csm), dalla pubblicazione del libro-intervista di Sallusti e Palamara, ecc., i cui effetti negativi sono ben lungi dall’essersi esauriti. Ad essa si è aggiunta in queste ultime settimane la diffusione dei contenuti dei verbali, benché secretati, dell’interrogatorio dell’avvocato Amara sulla ipotetica esistenza di una loggia massonica “Ungheria”, cui sarebbero iscritte una quarantina di personalità di rilievo pubblico e privato, tra cui anche importanti magistrati. Questa vicenda ha portato alla luce sia i contrasti all’interno della Procura di Milano sulla non avvenuta iscrizione nel registro degli indagati di queste persone e sulla mancata tempestiva effettuazione delle necessarie indagini, sia le modalità non conformi alla legge con le quali ne è stato informato prima un componente del Csm e poi altre autorità giudiziarie e soggetti politici.
Questo riassunto, benché estremamente sintetico, di episodi, decisioni, omissioni, contrasti, polemiche è indicativo di una situazione di malessere profondo all’interno della Magistratura, che corrode la credibilità della stessa Istituzione e di tutti quei magistrati che invece con scrupolo e coscienza giornalmente adempiono alla loro funzione. Non sorprende pertanto che i sondaggi attestino il rilevante e apparentemente inarrestabile calo della fiducia dei cittadini nei confronti dell’apparato giudiziario, oggi ridotto al minimo storico, a quanto sembra, del 39%. A questo degrado corrisponde la non infondata previsione che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi la situazione possa ulteriormente aggravarsi, non solo perché le vicende sopra indicate sono tutt’altro che concluse, ma perché ad esse se ne aggiungono altre, già avviate, che potrebbero divenire addirittura, se possibile, ancor più preoccupanti.
Si tratta della richiesta al Governo italiano da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) di informazioni in merito al ricorso presentato da Silvio Berlusconi contro la sentenza della Corte di cassazione del primo agosto 2013, che ha confermato la sua condanna a quattro anni di reclusione per frode fiscale e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici (con conseguente incandidabilità alle elezioni politiche fino al 2019); dell’avvio in Parlamento della procedura per l’istituzione di una Commissione d’inchiesta sulle disfunzioni della Magistratura e della decisione del Partito Radicale e della Lega di presentare una serie di referendum abrogativi di norme sulla giurisdizione. Con richiesta dello scorso 17 maggio la Cedu ha posto al Governo italiano dieci distinte domande di carattere procedurale (la prima a sua volta articolata in tre subquesiti) sulle modalità con le quali si è pervenuti alla condanna di Silvio Berlusconi, allo scopo di accertare, tra gli altri fatti, se fosse stato leso il suo diritto, riconosciuto dalla Carta internazionale dei diritti dell’uomo, a godere di un equo processo, e quindi di essere giudicato da un giudice imparziale sulla base di una legge esistente al momento dell’eventuale compimento del fatto e di non essere sottoposto a giudizio più di una volta per il medesimo comportamento. Il Governo dovrà rispondere entro la metà del prossimo settembre, poi, realizzato il contraddittorio tra le parti, la Cedu adotterà la decisione finale, che presumibilmente sarà notificata l’anno prossimo.
Non importa adesso entrare nel merito della causa, ampiamente dibattuta non solo a suo tempo sulla stampa quotidiana, che non ha mancato di mettere in luce le presunte irregolarità che avrebbero caratterizzato la decisione presa. Merita soffermarsi invece sulle conseguenze politiche di una eventuale decisione favorevole a Silvio Berlusconi. In tal caso vi sarebbe il riconoscimento formale, espresso da una Corte internazionale imparziale in quanto del tutto estranea ai contrapposti interessi della politica interna italiana, che le sentenze di condanna dei tre diversi gradi di giudizio sarebbero state adottate in violazione di norme di diritto internazionale e, di riflesso e implicitamente, dei principi e delle norme della Costituzione italiana e delle norme processuali interne; che i giudici che hanno condannato Silvio Berlusconi non sarebbero stati imparziali e non avrebbero applicato la legge, ma avrebbero deciso o in base alle proprie opinioni politiche oppure, più presumibilmente, perché influenzati in modo diretto o indiretto, secondo quanto rilevato da Luca Palamara, dal vertice di fatto della Magistratura, identificato con le sfere dirigenti di una pluralità di organizzazioni associative dei magistrati. In definitiva il Potere giudiziario sarebbe stato esercitato contro un presidente del Consiglio democraticamente eletto allo scopo di determinarne le dimissioni e di favorire lo schieramento politico avversario.
L’impatto sull’opinione pubblica di una siffatta decisione, allo stato semplice ipotesi benché rafforzata dalla richiesta di informazioni della Cedu, sarebbe certamente devastante. Più concrete, perché la relativa procedura si è già attivata, sono invece le quattro proposte di istituzione di una Commissione bicamerale d’inchiesta presentate alla Camera dai deputati Gelmini, Del Mastro Delle Vedove, Turri e Bartolozzi per indagare praticamente su tutte le disfunzioni del sistema giudiziario: le vicende interne e internazionali che hanno portato alla crisi del quarto governo Berlusconi, i rapporti tra le forze politiche e la magistratura, il ruolo delle correnti, il funzionamento del Csm e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, le eventuali influenze illecite nell’attribuzione degli incarichi direttivi e semidirettivi, l’esercizio dell’azione disciplinare, i rapporti tra la magistratura inquirente e i mezzi di informazione, le modalità di esercizio dell’obbligo dell’azione penale, ecc.
Se ad esse si aggiunge la decisione del Partito radicale e della Lega di attivare la procedura referendaria per l’abrogazione di una serie di norme, sulla giurisdizione e l’impressione probabilmente non infondata che le polemiche e le contrapposizioni all’interno della Magistratura non siano affatto esaurite, ma siano destinate a ripetersi e a riprendere vigore, è facile prevedere che da ora fino alle prossime elezioni nel 2023, e forse anche dopo, tutte le disfunzioni della Magistratura, che hanno condotto autorevoli commentatori ad affermare che nel nostro ordinamento è in pericolo la sussistenza dello stesso Stato di diritto, verranno accertate, approfondite e rese pubbliche, con gli ulteriori e pesanti effetti disgreganti facilmente immaginabili sulla credibilità della Magistratura da parte dell’opinione pubblica.
Non si può continuare a correre questo rischio, perché «anche il solo dubbio che la giustizia possa non essere, sempre, esercitata esclusivamente in base alla legge provoca turbamento». La crescente incertezza da parte dei cittadini e in molti casi ferma consapevolezza della inaffidabilità della Istituzione giudiziaria e della conseguente insicurezza della propria libertà e dei propri diritti produce reazioni, genera proposte politiche, modifica le opinioni di voto e gli schieramenti politici con esiti non prevedibili. Le parole del Presidente della Repubblica non sono quindi meri richiami di carattere formale, ma esprimono una preoccupazione forte, seria e condivisibile e si sostanziano in un duplice invito alle forze politiche, al Parlamento e al Governo: a proseguire innanzitutto “rapidamente e rigorosamente, a far luce su dubbi, ombre, sospetti, su responsabilità”; ad affrontare inoltre “sollecitamente e in maniera incisiva i progetti di riforma nelle sedi cui questo compito è affidato dalla Costituzione”. Non ci si può non augurare che questo invito venga finalmente accolto.
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