La morte di Francesco Nerli, ex presidente dell’autorità portuale di Napoli scagionato dall’accusa di concussione dopo otto anni nelle morsa della giustizia, e la vicenda di Antonio Bassolino, ex governatore campano processato e assolto per ben 19 volte, riaccendono i riflettori sui controlli sull’operato dei magistrati. Anche perché, nel caso di Nerli come in quello di Bassolino, i pm che hanno aperto le indagini – conclusesi con un nulla di fatto dopo aver devastato la vita degli inquisiti e riempito le pagine dei giornali – sono stati puntualmente promossi.

E allora non sarebbe il caso di introdurre nuovi meccanismi di verifica del lavoro dei magistrati? «I controlli ci sono, ma devono essere seri e puntuali», avverte Carlo Alemi, già presidente del Tribunale di Napoli, per anni in prima linea contro camorra e terrorismo. Secondo il decano dei giudici partenopei, «un primo vaglio c’è e consiste nella possibilità di proporre appello verso una sentenza e non va dimenticato che il lavoro dei magistrati è sottoposto a verifica periodicamente e sistematicamente». La legge, infatti, prevede che tutte le toghe siano assoggettate a un controllo della capacità professionale, con cadenza quadriennale, per sette volte, a partire dal giorno in cui assumono le funzioni e fino al 28esimo anno di carriera.

Il giudizio è basato sull’esame a campione di atti prodotti dal magistrato, sul rapporto stilato dal dirigente dell’ufficio, sulle statistiche relative ai tempi di trattazione e di decisione dei procedimenti oltre che di deposito dei provvedimenti, su eventuali pubblicazioni scientifiche e segnalazioni del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, oltre che della cosiddetta autorelazione, cioè quel documento attraverso il quale è possibile sottoporre determinati elementi al vaglio del Csm.

Tutto questo basta? E basta alla luce delle riparazioni per ingiusta detenzione che, tra il 2018 e il 2019, a Napoli sono aumentate da 113 a 129? Ed è sufficiente se si considera che, nel 2019, le azioni disciplinari promosse contro i magistrati sono state solo 24 in tutta Italia? «In altri Paesi – continua Alemi – l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione non esiste e il fatto che sia invece presente in Italia rappresenta un segnale positivo. Detto ciò, per i giudici vale lo stesso discorso che può essere fatto per le varie articolazioni della pubblica amministrazione: le leggi ci sono e magari sono anche ben scritte, ma bisogna vedere se e come vengono applicate; i controlli sono previsti, ma resta da verificare come vengono concretamente condotti». In altre parole, secondo l’ex presidente del Tribunale di Napoli, «i problemi sorgono quando le verifiche non vengono effettuate in modo appropriato».

Di qui un duplice monito: da una parte, occorrono controlli seri e adeguati sull’operato dei magistrati come delle altre figure professionali; dall’altra, bisogna approvare normative sempre più chiare e semplici che, come tali, non si prestino a interpretazioni contrastanti e non generino confusioni in chi, a qualsiasi titolo o livello, è chiamato ad applicare la legge. «In Italia – conclude Alemi – abbiamo una particolare abilità nell’approvare norme poco chiare: è questa la tendenza che va immediatamente invertita».