Pace fatta: ora il test della giustizia
Dopo il patto della spigola Grillo e Conte provano a sabotare la riforma Cartabia

Il “patto della spigola” vorrebbe segnare l’inizio di una nuova vita per il Movimento 5 Stelle. Lo hanno siglato ieri a pranzo Beppe Grillo e Giuseppe Conte nella trattoria da Sauro a Marina di Bibbona. Due ore per consumare un antipasto di pesce caldo e una spigola al forno, farsi una bella foto sorridenti e lanciare l’hashtag “e ora pensiamo al 2050”. Siglata la pace, trovato l’accordo sulla diarchia alla guida del Movimento, adesso si attende la pubblicazione sul sito del nuovo Statuto e poi, entro quindici giorni dalla pubblicazione, la votazione degli iscritti. Che avrà un consenso bulgaro.
Conte diventa il capo politico, Grillo resta garante (“badante”, secondo qualcuno) con potere di veto sulle questioni più importanti: non è cambiato molto rispetto a prima. Se non che in mezzo sono volate parole molto pesanti: «Sono il garante non un coglione» – disse a muso duro due settimane fa Grillo a Conte «sprovvisto di visione, carisma e leadership». Conte gli dette del “padre-padrone” che voleva «soffocare la sua creatura invece di farla crescere» e il Movimento cominciò la discesa nel precipizio. Evitata, all’ultimo millimetro utile, dalla mediazione di Luigi Di Maio e altri sei saggi. Il patto della spigola è controfirmato da almeno tre persone e la terza, Di Maio, è quella che in futuro peserà più di tutte le altre. Recuperare un minimo di decenza nei rapporti tra i due non è stato facile né semplice. Ma necessario. E anche urgente: la riforma della giustizia incombe, il Movimento è spaccato e non poteva più succedere che Draghi interloquisse con Grillo anziché con Conte nell’affrontare questo passaggio che per il Movimento è una specie di linea del Piave.
Il giochino della pace ritrovata convince pochi. Uno si chiede perché nel mondo 5 Stelle tutto debba essere drammatizzato fino al punto del non ritorno per poi celebrare la pace ritrovata. E che affidabilità possa dare una forza politica siffatta. La ritrovata unità 5 Stelle avrà subito test importanti per valutarne la tenuta e l’affidabilità. Rispetto all’asse con Pd. E rispetto al governo Draghi. Martedì un primo esame sarà sugli emendamenti al ddl Zan. Cosa farà il Movimento nelle cui fila l’altro giorno, quando il testo contro l’omotransfobia si è salvato per un solo voto, mancavano ben 15 senatori? Su alcuni dossier le esigenze saranno subito esasperate perché Conte deve dare il segnale di aver ripreso in mano le redini del “suo” Movimento. Nel mirino, innanzitutto, la riforma della Giustizia della ministra Marta Cartabia licenziata una settimana fa dal Consiglio dei ministri con un voto unanime e la promessa di approvarla in Parlamento nei tempi previsti. I parlamentari M5s della commissione Giustizia della Camera molto difficilmente però voteranno la mediazione.
Conte l’ha impallinata definendola “la solita anomalia italiana”. La linea di frattura è evidente. La riforma del processo penale che ancora si chiama Bonafede e che sarà corretta da un corposo pacchetto di emendamenti del governo, approderà in Aula alla Camera il 23 luglio. Per quella data la leadership di Conte non sarà ancora formalizzata dal voto. Ma già lunedì ci potrebbe essere un incontro di legittimazione a palazzo Chigi e Conte calerà le carte di leader di un Movimento “di lotta e di governo”. Gli altri fronti su cui Grillo-Conte intendono dare del filo da torcere a Draghi sono la riforma del fisco (in Cdm la prossima settimana), l’ambiente e gli appalti, a cominciare dal decreto Semplificazioni ora in commissione al Senato. Si tratta di dossier vincolanti per il Pnrr. Non sono ammessi ritardi. Draghi ci ha messo la faccia e ha chiesto a tutti di metterla. Non c’è tempo per meline né bandierine.
I 5 Stelle chiedono modifiche di peso nel decreto Semplificazioni. Ad esempio non vogliono la Commissione tecnica speciale che dovrà gestire il Pnrr e il Piano nazionale integrato energia e clima (Pnrr-Pniec) presso il ministero della Transizione ecologica. Senza questa commissione, che è garanzia per la messa a terra dei lavori, siamo destinati a perdere i 20 miliardi della transizione ecologica. È chiaro che Draghi non accetterà mai questa modifica. La denuncia dei 5 Stelle è veicolata quasi quotidianamente tramite comunicati a più firme: Zolezzi, Vianello e altri. Chiedono che la commissione per la Via (Valutazione impatto ambientale) resti così com’è e non sia commissariata dalla PNIEC. Da notare che ai tempi del Conte 1 e 2 e del ministro Costa proprio la Via è stata lo strumento per bloccare la maggior parte delle opere pubbliche.
Chiedono di rivedere l’articolo 37 perché «dietro l’obiettivo di accelerare la riconversione di siti industriali destinati a ospitate progetti legati ai fondi del Pnrr, si consentono soglie di inquinanti più elevate. Inaccettabile». Sempre per restare al decreto Semplificazioni, i 5 Stelle chiedono anche che l’Anac, l’Autorità anticorruzione, resti pari pari com’è, con gli stessi poteri di controllo e veto sugli appalti. Adesso se la vedrà Giuseppe Conte.
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