Un’azienda attiva sul mercato da anni, inserita addirittura nell’elenco di quelle non soggette a infiltrazioni mafiose, viene improvvisamente accusata di rapporti con la camorra e si vede revocare l’appalto affidatole da un Comune. È una storia incredibile quella che di cui è stato suo malgrado protagonista Gema: un incubo al quale il Tar della Campania ha messo fine solo pochi giorni fa, accogliendo il ricorso che il consorzio aveva presentato contro i provvedimenti con cui gli era stata sottratta la gestione dell’igiene ambientale a Sant’Antimo. Ma andiamo con ordine.
Gema è attivo da oltre dieci anni e presta servizio per diversi Comuni campani e pugliesi: un lavoro svolto con tale efficienza e trasparenza che, il 29 ottobre 2020, vale al consorzio l’iscrizione nella white list della Prefettura di Salerno, cioè nell’elenco dei fornitori di beni o servizi non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa. Gema cura l’igiene ambientale a Sant’Antimo sulla base prima di un’ordinanza adottata dal sindaco per fronteggiare l’ennesima emergenza rifiuti, poi di una “gara ponte” e infine di una proroga di sei mesi. Ma il Comune del Napoletano finisce ben presto nel mirino per presunte infiltrazioni da parte della camorra e, a marzo 2020, viene sciolto: la commissione straordinaria si insedia e revoca l’appalto per la gestione dell’igiene ambientale precedentemente affidato a Gema. Il motivo? La Commissione fa leva sul contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare spiccata nei confronti di un dirigente comunale ritenuto «punto di snodo nei rapporti illeciti tra l’amministrazione comunale e le organizzazioni criminali, tanto da essere imputato dei reati di associazione mafiosa, corruzione e di altri reati contro la pubblica amministrazione».
Qualcuno si chiederà: che cosa c’entra Gema? Il consorzio ha una sola sfortuna e cioè quella di essersi visto prorogare per sei mesi l’appalto sulla base di un provvedimento firmato proprio dal dirigente comunale in odore di camorra. Le conseguenze sono facilmente immaginabili: oltre a rinunciare alla gestione dell’igiene ambientale a Sant’Antimo, Gema, pur non essendo mai stato colpito da un’interdittiva antimafia, viene esposto all’immancabile gogna mediatica. Di qui il ricorso al Tar che, alla fine, dà ragione al consorzio.
Secondo i giudici, il fatto che il dirigente comunale indagato per camorra fosse responsabile unico del procedimento nel momento in cui Gema aveva cominciato a lavorare a Sant’Antimo «non assume rilevanza né rappresenta elemento dirimente da cui desumere la permeabilità alle organizzazioni criminali». Senza dimenticare la presenza del consorzio nella white liste stilata dalla Prefettura di Salerno, «strumento principale e indefettibile per attestare che l’operatore economico non è coinvolto in affari o rapporti ad altro titolo con le organizzazioni di stampo mafioso». «Essere tacciati di rapporti con la camorra è un fatto grave soprattutto per chi opera sul mercato da anni – commenta Luca Tozzi, avvocato di Gema – La materia dovrebbe essere regolamentata in maniera più precisa per evitare di procurare danni economici e d’immagine a chi opera in modo trasparente ed efficiente».