Da Roma a Bruxelles?
Dopo l’addio al Dis, quale futuro per Belloni: sarà il filo diretto Chigi-Berlaymont?
Elisabetta Belloni lascia la direzione del Dis, ma non è detto che sia una brutta notizia. Se fossero confermate le voci di un suo nuovo incarico a Bruxelles, saremmo di fronte a una svolta nelle scelte spesso superficiali fatte dal nostro Paese nel ricoprire ruoli strategici presso le istituzioni europee. La conclusione del mandato al vertice dell’agenzia di intelligence era prevista a maggio. Presentando le dimissioni in anticipo, l’ambasciatrice ha fatto sapere che non ha in programma altri incarichi. D’altra parte, è lecito chiedersi quanto sia sprecato lasciarsi sfuggire una diplomatica della caratura di Elisabetta Belloni. Come è altrettanto urgente provvedere a sostituirla al vertice dei nostri servizi di sicurezza.
C’è stato un tempo in cui le squadre di calcio italiane davano più importanza allo Scudetto piuttosto che alla Champions League. Poi le cose sono cambiate. Non soltanto per ragioni di prestigio. Diritti Tv e sponsor vi hanno messo del loro. Ma politica e pubblica amministrazione non hanno ancora fatto questo switch. Vuoi perché si preferisce Montecitorio all’Europarlamento. Vuoi per il luogo comune perché una cosa è vivere a Roma, un’altra è spostarsi lassù, a Bruxelles. Fatto è che anche con l’infornata post elettorale, dei 53 ruoli chiave nei gabinetti della nuova Commissione, l’unica nomina italiana di peso è stata quella di Antonio Parenti, scelto come nuovo direttore per “Salute pubblica, cancro e sicurezza sanitaria” presso la Direzione generale Salute e sicurezza alimentare (Dg Sante). Già Capo della Rappresentanza della Commissione europea in Italia, Parenti è stato alla guida della sezione Economia, commercio e sviluppo presso la delegazione dell’Unione europea alle Nazioni Unite (ONU) a New York. È quindi un italiano che entra nelle cancellerie del mondo come alfiere dell’Ue. Sono pochi i nostri connazionali come lui.
Attenzione, non è una questione di incarichi politici. Ce lo conferma il caso di Fitto. Il nostro è un deficit di civil servant. L’assenza dai tavoli delle trattative politiche, economiche e commerciali vuol dire rischiare che qualcun altro decida per noi. In gioco ci sono la nostra competitività e la nostra capacità di influenza. Green deal, agrifood, automotive, ma anche difesa comune – con tanto di relativa filiera industriale – politiche migratorie e sicurezza. Sono sfide chiave per il futuro dell’Unione europea, ma le cui ricadute si riflettono sulla nostra economia, sul mercato lavoro interno, sulla creazione di una società e quindi di una classe dirigente nazionale, ma con una genuina anima europea.
L’eventuale ingresso di Elisabetta Belloni sui campi da gioco Ue sarebbe il segnale che le cose sono cambiate e che, finalmente, Roma ha una sua linea di indirizzo europea. Vorrebbe dire ci siamo dotati di una cabina di regia da cui far partire decisioni operative e proposte portate in sede comunitaria da personaggi di alto spessore. Del resto, i fuoriclasse non ci mancano. Belloni, Enrico Letta e Mario Draghi – solo per fare i nomi più noti e più vicini a von der Leyen – rappresenterebbero una squadra invidiata anche da Francia e Germania.
Siamo tra i fondatori dell’Europa unita, con una rilevanza storica non da poco, quindi possiamo permetterci di sfoggiare quell’autorevolezza che è propria dei “padri nobili”. D’altra parte, vincere a Bruxelles richiede preparazione sui singoli dossier, padronanza linguistica e rete di alleanze. Ovvero saper trattare con chi in Ue pretende di essere il tessitore di tutto – francesi e tedeschi – e con chi invece è una new entry e quindi si muove con disinvoltura. È il caso dei Paesi baltici, i cui funzionari inviati in Ue sono spesso tra i più competenti e professionali. Elisabetta Belloni risponde a questo profilo. Da buona non eletta – quindi immune agli attacchi strumentali e perfino ridicoli spesso rivolti a Fitto –vanta un buon rapporto con Giorgia Meloni. Come tale potrebbe essere il filo diretto tra i Palazzi Chigi e Berlaymont.
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