Dossieraggio, Cafiero De Raho attaccato alla poltrona: il colossale conflitto d’interessi che farebbe saltare sulla sedia anche Travaglio (ma è il suo cocco)

La parola ai giudici del riesame che oggi decideranno se applicare le manette domestiche ai polsi del tenente Pasquale Striano e del magistrato in pensione della Dna, Antonio Laudati. La procura perugina di Raffaele Cantone si è proprio incaponita, nella richiesta di arresti dei due principali accusati di “dossieraggio”. Non si è arresa al diniego del gip e ha replicato la richiesta al tribunale del riesame.

Una mossa simbolica e mediatica. Dovuta anche, in un certo senso, vista l’indifferenza distratta con cui i principali quotidiani stanno trattando un caso che meriterebbe titoloni scandalizzati ogni giorno. Ma poco utile sul piano giudiziario, dal momento che i due principali indagati, cui vanno aggiunti i tre giornalisti di “Domani”, Nello Trocchia, Giovanni Terzian e Stefano Vergine, sono ormai impossibilitati a reiterare il reato, essendo ormai uno pensionato e l’altro trasferito. E che, per inquinare le prove, sarebbe bastato un click, oltre alla polvere del tempo trascorso. Il che non deve far dimenticare la gravità dei reati, l’accesso abusivo al sistema informatico delle banche dati della Procura nazionale antimafia, dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza, oltre alla rivelazione del segreto investigativo e l’abuso d’ufficio.

Dossieraggi, il commercio di notizie

Non stiamo parlando di qualche distrazione, o piccola intrusione in fatti privati. I numeri parlano chiaro. Nell’arco di quattro anni il tenente Striano avrebbe consultato all’interno della banca dati 4.124 “Sos”, cioè le informazioni su operazione sospette, che riguardavano 1.531 persone. Non cittadini qualunque, ma in gran parte politici, imprenditori o personaggi dello sport e dello spettacolo. Ma erano solo i primi a interessare certi giornalisti e certi giornali. E i nomi sono clamorosi perché si passa da Berlusconi a Salvini a Renzi, per arrivare a Crosetto, nei momenti topici della loro vita politica e dei loro incarichi di governo. Un bel commercio di notizie, comprese quelle più riservate, come denunciato non solo dal ministro della Difesa, da cui tutto è partito, e che sarà presto sentito dal Copasir, ma anche ieri dall’ex governatore della Regione Liguria, Giovanni Toti, nella sua nuova veste di editorialista del Giornale.

A partire dal 2018, racconta, sul settimanale l’Espresso uscì una serie di articoli sul mio conto, firmati da uno dei tre giornalisti oggi indagati, Giovanni Terzian, in cui “incredibilmente comparivano estratti dei miei conti correnti personali e spese totalmente estranee alla mia attività politica”. Un’attività intrusiva che andrà avanti negli anni successivi, racconta ancora Toti, rilanciata da altre testate come “Domani” e “Il Fatto quotidiano”. Che finalità avevano, si domanda il giornalista, lasciando intendere che quei servizi potrebbero aver ispirato in seguito qualche magistrato. Terreno scivoloso, come minimo.

Il colossale conflitto d’interessi di De Raho

Anche perché nel frattempo il caso giudiziario del “dossieraggio”, che è già per dimensioni una montagna, sta diventando l’Everest nei suoi risvolti politici. E non è un nocciolino facile da mandare giù il caso del deputato cinquestelle Federico Cafiero De Raho e il suo colossale conflitto di interessi. Attualmente è vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, la stessa che, dotata di poteri requirenti simili a quelli della magistratura, sta esaminando lo scandalo che è un colosso pari a quello del Sifar e mille volte superiore a quello della Loggia segreta di Licio Gelli. Dire che il deputato Cafiero De Raho indaga su sé stesso è forse inesatto sul piano giudiziario, anzi lui sostiene di esser stato vittima di Striano e Laudati, ma è ampiamente opportuno sul versante politico e anche sull’“onorabilità” richiesta a ogni parlamentare.

Tema che pare così spinoso da essere ignorato non solo dalla gran parte dei quotidiani, ma anche dall’intero mondo politico dell’opposizione. Tutti muti gli eroi del campo largo, petulanti nella difesa del loro eletto i grillini d’ordinanza. Quelli della trasparenza. Quelli sempre pronti con le carte bollate e le ingiunzioni gridate di dimissioni, quelle degli altri, ovvio. L’oscar della determinazione va indubbiamente al gruppo di Forza Italia nella bicamerale, con il vicepresidente della Commissione Mauro D’Attis, il capogruppo Pietro Pittalis, e poi Maurizio Gasparri, Pierantonio Zanettin e Chiara Tenerini. La prima cosa che il drappello ha notato è che pare molto strano il suggerimento di Cafiero De Raho a non sentire Striano, perché tanto non parlerebbe, visto che si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti ai magistrati. Ma che cosa sta facendo l’ex capo dell’antimafia, dice Gasparri, dà suggerimenti, manda pizzini ai testimoni?

Uno dei cocchi preferiti di Travaglio

Ma ci sono altri particolari, sempre sottolineati da Forza Italia, che farebbero saltare sulla sedia qualche Travaglio, se non stessimo parlando di uno dei suoi cocchi preferiti. È vero o no che De Raho era procuratore capo a Reggio Calabria quando anche Striano operava negli stessi uffici, e che poi tutti e due sono andati all’antimafia, dove uno redigeva encomi entusiastici sull’altro? Ciliegina sulla torta la determinazione con cui l’ex capo dell’antimafia rimane incollato al proprio posto, giocando un po’ sulle date dell’attività spionistica. Perché, se è vero (forse) che il “caso Crosetto” è nato dopo che lui era andato in pensione, è ancor più vero che tutti gli altri, da Berlusconi a Salvini, hanno avuto origine e si sono sviluppati nel corso della sua presidenza. Lui si sente vittima, ma gli altri non la pensano così, e denunciano il caso ai presidenti di Camera e Senato. Censurando l’uomo e la sua “spregiudicatezza, mista ad arroganza, che andrebbe valutata in ogni sede”. Il piatto è servito all’onorevole magistrato.