Il Tribunale del Riesame del prossimo 23 settembre deciderà solo se ha ragione il capo della Procura di Perugia Raffaele Cantone (che vuol fare arrestare – magari con qualche mese di ritardo – l’ex magistrato dell’Antimafia Antonio Laudati e il tenente della Gdf Pasquale Striano, accusati del più mostruoso caso italiano di dossieraggio) o la gip Elisabetta Massini che ha detto “no” alle manette. Ma il problema politico è tutto ancora lì ed è gigantesco. Perché nessuno ha ancora spiegato a che cosa servivano tutte queste spiate e nei confronti di chi. Ma forse la prima domanda riguarda l’esistenza stessa della Dnaa, la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo voluta da Giovanni Falcone che mai avrebbe potuto immaginare che cosa sarebbe diventata in seguito alla sua morte.

Il ruolo della Dna, trasformata in centro di potere

Un organismo autonomo, composto dal presidente e da 20 procuratori, il cui ruolo dovrebbe essere solo quello di coordinare le indagini avviate dalle diverse direzioni distrettuali in ambito di mafia e terrorismo. È invece diventata un vero centro di potere, molto ambito dalle toghe di ogni colore, probabilmente anche per questa possibilità – emersa clamorosamente dalle indagini dopo la prima denuncia del ministro Guido Crosetto – di controllo sul mondo politico e imprenditoriale. Indagini evidentemente fuorilegge condotte anche per saziare la voracità aggressiva di giornalisti impegnati nell’agone politico. Non è casuale che al fianco dei due indagati principali troviamo nella stessa situazione processuale tre giornalisti di Domani, il quotidiano dell’ingegner De Benedetti, che ha trascorso gran parte della sua vita a impegnare la propria competizione venata di invidia nella guerra, anche giudiziaria e attraverso i suoi giornali, nei confronti di Silvio Berlusconi.

Gli accessi illegittimi e il ruolo dei giornalisti

E non è un caso che, nel calderone in cui sono cascati insieme al magistrato e al finanziere i giornalisti Nello Trocchia, Giovanni Tizian e Stefano Vergine, indagati per rivelazione di segreto d’ufficio e accesso illegale a sistema informatico, i ruoli siano spesso invertiti e capovolti. Come è accaduto proprio nel caso da cui tutto è iniziato, quello che ha riguardato il ministro Crosetto.
Il calderone è ben nutrito: stiamo parlando di accessi illegittimi da parte di Striano a più di 4000 Sos, le banche dati di “operazioni sospette”, segnalazioni che provengono dagli uffici antiriciclaggio degli istituti di credito, tra il 2019 e il 2022, con 10.000 accessi e 34.000 file. C’è un mondo intero, in questi file, usati spesso in modo indebito per attacchi politici. Ne sanno qualcosa amministratori come il governatore della Regione Lombardia Attilio Fontana, uscito a testa alta da qualunque indagine ma colpito alle spalle anche tramite i Sos, proprio nei momenti difficili dell’epidemia da Covid 19.

Il dossieraggio su Crosetto

Ne hanno fatto un uso a piene mani questi cronisti al servizio dell’ingegnere, per attaccare il mondo politico della parte opposta agli interessi dell’editore. Così su Domani uscivano notizie riservate sulle collaborazioni di Guido Crosetto nella sua precedente attività professionale. Il ministro non è uno che le manda a dire e ha detto e fatto quel che doveva. Ha denunciato ed è stato ascoltato. Si è scoperto anche un maldestro tentativo di imbroglio, pare suggerito a Striano da uno dei tre giornalisti di Domani, Stefano Vergine. L’imbroglio consiste nel fatto che la spiata su Crosetto avrebbe avuto origine dai controlli su due suoi soci nella gestione di bed&breakfast, i fratelli Mangione. Peccato che le informazioni su questi ultimi siano state fatte in epoca successiva a quelle sul ministro. E anche peccato che, dopo quelle brevi dichiarazioni, sia il tenente Striano che il pm in pensione Laudati si siano sempre avvalsi della facoltà di non rispondere. Ai magistrati, perché – soprattutto il primo – non si nega alle tv.

Il conflitto di Cafiero de Raho

Ora vedremo se verranno chiamati dalla Commissione parlamentare antimafia, dove c’è questa colossale montagna che è il conflitto di interessi del deputato e vicepresidente Federico Cafiero de Raho. Che non solo è stato il capo del tenente Striano, ma ne ha sempre tessuto le lodi. Nell’attesa di proteste per esempio della “garantista” Debora Serracchiani, per non dire di Matteo Renzi, si sono fatti sentire gli esponenti di Forza Italia nella commissione, Mauro D’Attis, Pietro Pittalis, Maurizio Gasparri, Chiara Tenerini e il senatore Pierantonio Zanettin. Forse qualcuno dovrà spiegare come mai queste migliaia di accessi investigativi hanno sempre riguardato solo esponenti del centrodestra o comunque personaggi come Matteo Renzi, ostili (almeno fino a pochi giorni fa) al Movimento 5 Stelle, l’attuale partito in cui è stato eletto Cafiero de Raho. Proprio lui che era il capo non ne ha mai saputo niente?

È questa la principale domanda cui finora l’indagine del procuratore Cantone non ha ancora dato risposta, al di là dell’esibizione muscolare nel chiedere custodia cautelare dei due principali indagati (quando ormai, uno in pensione e l’altro senza ruoli operativi, non possono più reiterare il reato, e se avessero voluto inquinare le prove ne avrebbero avuto modo e tempo).

Avatar photo

Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.