L'intervista al Premio Nobel
“Draghi al governo per risanare l’Italia”, la proposta del Nobel Phelps
«Un alto incarico a Mario Draghi risolleverebbe gli animi e sarebbe d’ispirazione per un’Italia più dinamica»: parola di Edmund “Ned” Phelps, premio Nobel per l’economia e direttore del Centro sul capitalismo e la società presso la Columbia University. Phelps ritiene che, al netto dello shock pandemico, l’economia dei Paesi occidentali, Stati Uniti in testa, sia penalizzata da decenni di rallentamento nell’innovazione, provocato soprattutto da un deterioramento dello spirito d’avventura e della creatività di imprenditori e lavoratori. E che la presidenza Trump stia inibendo ogni dinamismo imponendo negli Usa «un corporativismo di stile mussoliniano». Phelps, a quanto pare, il 3 novembre voterà per Joe Biden.
Professore, i suoi studi sul dinamismo economico indagano sulle strade che lo favoriscono e sulle istituzioni che lo frenano. Lei conosce bene l’Italia. Quali nostre istituzioni fanno da tappo?
«In Italia come nel resto dell’Occidente al cuore del problema ci sono certamente alcune istituzioni, ma alla fine dietro al declino dell’innovazione e al conseguente declino economico c’è qualcosa che è accaduto nello spirito della gente: c’è meno interesse per la scoperta, l’esplorazione, la creazione. Quindi, non c’è miglioramento istituzionale che tenga».
Un problema culturale, quindi. Il pubblico ha bisogno di essere ispirato?
«Sì, può essere molto importante. È male avere ai posti di comando persone non in grado di ispirare gli altri, come vedo oggi in molti Paesi. Al vertice ci vorrebbero persone come Mario Draghi, appunto. O come, per restar da voi, Giovanni Tria. Che sta spingendo per un maggior coordinamento tra le banche centrali: un modo di instradare leadership, ottimismo e idee sul sentiero per il miglioramento».
A proposito di innovazione, comunque, la pandemia sta facendo da acceleratore a tendenze già in atto: una di queste è la robotizzazione: alcune aziende stanno anticipando i piani privilegiando le macchine per tagliare posti di lavoro a rischio contagio. Non le pare una brutta cosa, per l’occupazione già decimata dai lockdown?
«Non necessariamente, se ragioniamo oltre il breve termine. C’ è un’analogia tra l’”invasione robotica” e l’ immigrazione di massa per esempio quella verso gli Stati Uniti alla fine dell’800, quando ci fu un’esplosivo aumento della popolazione. Allora si pensò che tutti quegli immigrati avrebbero provocato una caduta dei salari: così tanta forza lavoro senza un corrispondente aumento del capitale significa salari più bassi, si disse. Ma nella realtà i salari non scesero. Perché con l’aumento della forza lavoro aumentò la redditività del capitale e si fecero più investimenti, riportando il rapporto tra capitale e forza lavoro a un equilibrio. Così, con una “invasione” di robot probabilmente molti progetti di investimento altrimenti non redditizi lo diverrebbero. E i salari non diminuirebbero. Ma, semmai questo paradigma non funzionasse (Phelps ride ,schermendosi, ndr), credo che sarebbe una buona cosa mettere una tassa sui robot. Così il governo avrebbe qualche entrata in più per fare gli aggiustamenti necessari per proteggere l’occupazione».
Lei sostiene Joe Biden. Cosa c’è di buono nel suo programma economico e cosa potrebbe esser migliorato? I critici paventano aumenti delle tasse.
«Recenti analisi econometriche dell’ Università della Pennsylvania suggeriscono che la politica economica prevista da Biden e dai suoi collaboratori sarà in grado di spingere la crescita. E con tutte le forze che in questo momento stanno agendo nell’aumentare il deficit, credo proprio che sia un bene che qualcuno pensi a esercitare un minimo di pressione fiscale che non danneggi ma anzi favorisca la crescita».
Secondo alcuni suoi colleghi deficit e debito non sono causa di preoccupazione e si può sempre trovar la strada per sfuggire al loro peso. Lei non è d’accordo, mi pare.
«Il problema è che non c’è crescita, quindi come si può alleggerire il debito aumentando il Pil? A causa del virus, la crescita non è mai stata così difficile da secoli. Letteralmente. Non sono certo contrario al debito che viene creato per implementare le misure essenziali. Oggi negli Usa c’è gente che non ha da mangiare. Quindi dobbiamo creare deficit pubblico per dar loro una mano. Ma non sono d’accordo che il deficit non conti. Conta e come. Perché non si può avere nel lungo termine uno stimolo artificiale dei consumi a scapito di risparmi e investimenti. Dire che il deficit e il debito non contano è da cattivi economisti».
Ma l’indebitamento può servire per la crescita nel più lungo termine, se messo a servizio di progetti adeguati.
«D’accordo: emissioni di debito per finanziare la creazione di infrastrutture aumentano la produttività futura, in teoria. Questo sarebbe un tipo di debito che finisce per ripagarsi da solo. Ma credo si un argomento ridondante. Ogni volta che qualcuno ha un progetto che prevede debito dice: nessun problema, si ripagherà da solo. E poi non succede mai».
Meno male che i tassi d’interesse sono bassi e nel caso di alcune banche centrali addirittura negativi. Almeno i costi dell’indebitamento sono meno pesanti. Con un’ amministrazione Biden però lo stimolo fiscale probabilmente aumenterebbe oltremodo. Forse favorendo la crescita, ma anche l’aumento dei tassi d’interesse reali. Non finirebbe per essere un guaio?
«Ma è comunque inconcepibile, o almeno molto improbabile, che i tassi d’interesse rimangano a questo livello estremamente basso per anni e anni. E comunque ritengo che nel complesso i provvedimenti studiati da Biden e i suoi avranno effetti benefici sulla redditività delle aziende, e sulle stesse quotazioni di borsa».
Un po’ d’inflazione sarebbe benefica, secondo lei?
«Sì, e anche per un periodo di tempo lungo. Non ritengo certo che l’optimum dell’ inflazione sia il tasso zero».
Nel criticare la visione economica di Donald Trump, lei ha detto che è di tipo «corporativo». Non le sembra esagerato? Che c’entra il vostro presidente col corporativismo di Benito Mussolini?
«Sono fortemente colpito da quanto il pensiero e le azioni di Trump in economia siano analoghe a quelle da voi sperimentate durante il ventennio fascista. Pensa di essere un direttore d’orchestra: un po’ più per questi, meno per questi altri…un Toscanini dell’economia. Non è così che l’Occidente è diventato ricco e ha prosperato. Non c’è niente di peggio di qualcuno che vuol dirigere l’economia pianificandola. Dopo tutto, se non ci piace il socialismo reale è perché diffidiamo della pianificazione socialista: nessun pianificatore socialista avrà mai buone idee per l’economia, o forse ne avrà una o due ma tutto finisce lì. Ciò che è desiderabile è avere la gente comune e i lavoratori coinvolti nel sistema economico, a pensare nuovi modi di far le cose o inventare nuovi prodotti. L’economia deve esser trainata dalla creatività dei cittadini. Non è buona cosa incaricare un leader di diriger l’economia e fidarsi del suo giudizio. Il progresso economico nel passato è dipeso dall’immaginazione dalla creatività della gente comune. È così che abbiamo avuto innovazione e quindi crescita. Trump è il contrario di tutto questo. Pensa che il Paese e il mondo vadano meglio se lui detta le direzioni da prendere. Questo non solo è pericoloso, ma ha già prodotto un rallentamento della produttività. Io credo che ci sia molta disillusione, tra gli elettori di Trump. E che molti di loro siano pronti a liberarsi di lui».
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