Il discorso del leader ucraino a Montecitorio
Draghi appoggia Zelensky, gelo di Salvini e tante assenze tra i grillini

A passo lungo il gruppetto di senatori leghisti marcia rapido verso Montecitorio in anticipo d’un soffio sul videoappuntamento con Zelensky, fissato in Aula per le 11. Il cicerone dei colleghi meno esperti è smilzo e agitatissimo: “Ci siete tutti? Dai ragazzi, entriamo di qua. Tizi ci sei?” “Sì”. “Veloci”, dai. Varco polizia. Vocina di velluto: “Mi son scordato il tesserino”. Il poliziotto per oggi è di manica larga: vabbè, su, entri. Tentativo fallito di sfuggire a due microfoni. “Guarda come questi ci arrivano addosso con le defezioni eh”. Ci sono molte defezioni? “Ma quali defezioni, siamo qua”.
Non tutti. In Transatlantico lo struscio è quello delle grandi occasioni, ma le assenze son tante e si vedono. La Camera dei deputati è aperta ai senatori, mai un capo di stato è stato invitato a parlare come Zelensky in Aula (l’unico precedente è il papa). E la provvidenziale decisione di non verbalizzare le presenze ha magicamente fatto posto nell’emiciclo. Le tribune in alto riservate ai parlamentari sono una grande chiazza di rossopompeiano. Vuote. Qua e là due, tre, posti occupati. Tra covid, malati e gente chiamatasi fuori perché in missione, oltre agli assenti ideologici e a quelli che hanno preferito il sottotono per defilarsi, mancherà almeno metà dei parlamentari. Pochissimi i grillini in giro. Lunedì sera erano meno di trenta i senatori Cinque-Stelle che avevano detto al gruppo di voler andare.
Gira la dichiarazione di Vito Petrocelli, il presidente grillino della commissione esteri accusato dentro e fuori il suo partito di filoputinismo sfacciato: “Penso che per il M5S sia arrivato il momento di ritirare ministri e sottosegretari dal governo Draghi. Questo governo ha deciso di inviare armi all’Ucraina in guerra, rendendo di fatto l’Italia un paese co-belligerante”. In Aula gran brusio nell’attesa del collegamento video con Zelensky. A qualche deputata è venuto in mente di conciarsi gialloazzurra, non a più di tre o quattro, grazie al cielo. L’effetto è stendardo al balcone per la festa del paese. A una delle gialloazzurre vestite si impiglia pure la fascia nella standing ovation, un dramma silenzioso. Daniela Santanché un metro sopra tutte: borsetta, tacco 12 e mascherina tutto giallo limone su total black. Inarrivabile. Le sa portare solo lei. C’è tutto il Pd, fitti anche i banchi di Italia viva. Incontro affettuosissimo tra il ministro Brunetta e Annamaria Bernini, entusiasmo per gli anfibi di lei, baci, strette di mano. Al banco del governo Di Maio impettito accanto al presidente del Consiglio (Luigino il solito doppione di Draghi: batte le mani insieme a lui, una frazione di secondo dopo di lui, si muove come lui, anche la pettinatura sta virando impercettibilmente verso l’emulazione draghista).
Si accendono i maxi schermi. Ecco Zelensky. Applauso tutti in piedi. Lui: camicia verde militare, le mani una sull’altra, immobile, sta seduto con l’aria dell’attore guerrigliero su un palco nel sottoscala di un campo di battaglia. Cosa gli volete dire a Zelensky? Sta sotto le bombe. Ed è tutto maledettamente vero. Non ci sarà una virgola fuori tono nel suo discorso. Comincia così: “I morti vengono seppelliti nelle fosse comuni, l’invasione russa sta distruggendo il nostro Paese, il nostro popolo è diventato un esercito”. Dice in sostanza che è il popolo che sta reagendo, che la reazione è un sentimento diffuso popolare, fa capire che la resistenza all’invasione ci sarebbe anche senza di lui. Da notare che il capo del governo israeliano Naftli Bennet, uno dei canali di trattativa informale rimasto aperto, ha fatto sapere che i mediatori russi non pongono più la condizione della rimozione di Zelensky. Tutti quelli che si aspettavano richiami alla Resistenza italiana hanno perso la scommessa perché Zelensky, dopo la figuraccia sulla Shoah parlando al parlamento israeliano, non s’è impantanato in riferimenti storici e s’è buttato sull’evocazione immaginifica. “Mariupol è come Genova. Pensate a come sarebbe la vostra Genova completamente distrutta”. Molto più efficace. Arriva anche Sgarbi, sgattaiola tra i commessi schierati e si siede davanti al banco del governo. Applaude poco, ha un gran da fare con stampe che scruta con minuzia.
Zelensky tradotto in filodiffusione: “Sono rimaste solo rovine. Queste azioni in Europa sono state compiute soltanto dai nazisti. Bisogna fare di tutto per fermare questa guerra, organizzata da una sola persona”. E infila là la gran frase: “Obiettivo finale non è l’Ucraina, ma l’Europa: è avere il controllo della vostra politica, dei vostri valori. L’Ucraina è solo il cancello per l’esercito russo per entrare in Europa”. Poi la richiesta: “Avete condiviso il nostro dolore. Ma ora l’Italia congeli i beni russi e chiuda i porti”. Tono basso, sguardo fisso, breve riferimento a una telefonata appena fatta a Papa Francesco. Draghi risponderà mostrando più slancio dell’ospite. No, per scaldarsi non si scalda. Sta dritto in piedi senza alzare mai lo sguardo. Però il tono è teso, sembra emozionato. “Quella del popolo ucraino è una resistenza eroica – dice Draghi – l’Ucraina non difende solo se stessa ma la nostra pace, la nostra pace e sicurezza. Quei beni che abbiamo costruito con tanta fatica, l’Italia vi è profondamente grata”. “Davanti all’inciviltà l’Italia non intende girarsi dall’altra parte, davanti alla Russia che ci voleva divisi ci siamo mostrati uniti come Europa. Abbiamo congelato beni per ottocento milioni di euro agli oligarchi”. E la promessa: “L’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione Europea”.
Seduto accanto a Di Maio, Guerini mentre parla Draghi annuisce con la testa. Teso, molto teso, avrà notato quanto poco si sono sbracciati alcuni suoi alleati per difenderlo dalle minacce nemmeno troppo velate da Mosca nella persona dell’ex console russo a Milano, oggi rimpatriato come alto funzionario al Cremlino. Sul “manderemo aiuti, anche militari” Giorgia Meloni di bianco vestita applaude sottolineando l’applauso. Salvini no. E d’altra parte si sa. Giorgia Meloni non soltanto in questa questione ucraina fa l’opposizione responsabile, ma rispetto a Salvini fa anche tutta un’altra politica estera muovendosi rispetto a Salvini altrove e con maggior costrutto. Il leader leghista poi dirà: “Fatico ad applaudire Draghi quando parla di inviare armi. Finisce che ci portiamo la guerra in casa”. Draghi conclude, grande applauso. Zelensky fa un rapido ciao con la manina e schizza via prima che il collegamento sia interrotto. Draghi si volta finalmente a guardarlo e lo schermo è ormai nero. L’assemblea si sfilaccia e tutti son lì a raccontarsi i fatti loro. I commessi insistono: via, fuori. Ma perché se l’aula non è sospesa? “Non è sospesa però è finita”. Invece no, grande chiacchierare tra gli scranni. Chiacchierano fitto fitto i leghisti. Capannello di Italia viva. Tutti addosso a Renzi, che spiega, spiega, spiega.
© Riproduzione riservata