Il rapporto sulla competitività realizzato da Mario Draghi e presentato ieri a Bruxelles con Ursula von der Leyen è tutt’altro che un documento tecnico. Una vera e propria agenda politica destinata a guidare il lavoro della presidente della Commissione UE e a orientare le scelte dell’Europa, sempre che i paesi membri non preferiscano il suicidio politico collettivo. Insomma, un rapporto ‘storico’ che risponde a una “sfida esistenziale”: la sopravvivenza stessa dell’Unione europea. Il contesto richiede un “cambiamento radicale” da realizzare con “urgenza” e concretezza”, spiega l’ex presidente della Bce.

Il passo di Stati Uniti e Cina

Surclassata sul piano della produttività, l’Europa non è più in grado di reggere il passo di Stati Uniti e Cina, i due giganti economici e politici che si contendono la leadership del pianeta. Inoltre, “il calo demografico con la perdita di 2 milioni di lavoratori all’anno” promette una crescita modesta. Nel frattempo come europei, avvisa Draghi, “aumentano i nostri bisogni”, ci poniamo “obiettivi importanti” come la decarbonizzazione, la digitalizzazione e la difesa, ma “vogliamo anche mantenere il nostro modello sociale”. Per fare tutto questo “servono investimenti enormi, pari al 5% del Pil”, più del doppio degli investimenti messi in campo dal Piano Marshall dopo la seconda guerra mondiale: parliamo in sostanza di almeno 800 miliardi di euro.

Gli investimenti

Secondo Draghi, l’Ue dovrebbe pertanto prevedere forme di “finanziamento congiunto” per i “beni collettivi europei fondamentali”, magari emettendo “safe asset” europei (titoli obbligazionari a basso rischio), dato che i soli capitali privati non potranno coprire il cospicuo fabbisogno di investimenti necessario in futuro. Il modello del Recovery Plan antipandemico, nato come strumento sperimentale per l’emergenza, potrebbe diventare l’antesignano di una new wave ‘neokeynesiana’ dell’Unione.

La stessa von der Leyen, esponente di quella Cdu che è stata l’alfiere delle politiche di austerità dell’ex cancelliera Angela Merkel, ammette che serviranno “fondi comuni per realizzare progetti comuni”, non certo per coprire i buchi dei singoli debiti pubblici nazionali. Per l’Ue sarebbe una svolta storica. A condizione che i singoli stati membri siano capaci di proiettare i propri interessi di bottega in una logica collaborativa di prosperità comune. Conosciamo sia le resistenze dei paesi frugali (come Olanda e Germania) alla soluzione di un debito comune europeo, sia l’attitudine opportunistica dei paesi free rider (come l’Ungheria), abituati a usare gli aiuti europei per colmare i propri gap ma indisponibili a una solidarietà politica più ampia. Conosciamo – anche in Italia – la forza regressiva del nazionalismo economico. Proprio per superare queste resistenze, nella conferenza stampa di presentazione Draghi suggerisce “un uso più esteso, se non generalizzato, del principio di maggioranza qualificata. Ci sono alcune cose che sono così importanti per il futuro dell’Unione europea e per i suoi singoli stati membri, dove si potrebbe voler davvero andare avanti in una coalizione di volenterosi”, ovvero “una cooperazione rafforzata nell’ambito del quadro di cooperazione rafforzata o anche tramite trattati intergovernativi”. La parola chiave per il futuro dell’Europa, in ogni caso è una sola: crescita.

La crescita e le sfide europee

“Perché la crescita è così importante? Perché – spiega Draghi – ha a che fare con i nostri valori fondanti: prosperità, equità, pace, democrazia all’interno di un mondo sostenibile. L’Ue esiste per assicurare agli europei che trarranno vantaggi da questi valori”. Diversamente, gli europei non crederanno più né all’Unione e nemmeno a quei valori. Le principali sfide che l’Europa deve affrontare sono tre: l’innovazione e la digitalizzazione, la decarbonizzazione come occasione di competitività, la sicurezza e l’indipendenza. In primo luogo, l’innovazione. Draghi ricorda: l’Europa è fatta da “aziende di media dimensione che hanno raggiunto la maturità, ma sono le stesse di 20 anni fa, come nel caso dell’automotive. Negli Usa, viceversa, la produttività è guidata dall’industria digitale”. In Europa ci sono “troppe barriere all’innovazione: dal 2008 circa il 30% dei cosiddetti ‘unicorni’, ovvero gli innovatori, soprattutto nel campo della digital technology, hanno lasciato l’Ue e si sono trasferiti negli Usa: qui, invece di cogliere le opportunità dell’intelligenza artificiale, ostacoliamo la competitività”. In secondo luogo, serve abbassare i prezzi dell’energia e cogliere le opportunità industriali della decarbonizzazione. Draghi avverte che l’Ue non riesce ancora a “trasferire i vantaggi di una energia prodotta a costi più accettabili verso le famiglie e l’industria” (l’industria europea, rispetto agli Stati Uniti, paga il 158% in più per l’elettricità e il 345% in più per il gas naturale). Ma la lezione più rilevante resta che la decarbonizzazione non può essere intesa come finalità moralistica o come pratica masochistica. L’obiettivo dell’Ue non è la decrescita felice dei nuovi evangelisti dell’integralismo ambientalista: pure la decarbonizzazione deve essere uno strumento per la crescita. Infine, terzo punto, l’Europa deve aumentare la sua sicurezza, ridurre le dipendenze e sviluppare l’industria della difesa. Avverte Draghi: “L’Ue è collettivamente il secondo paese al mondo per spesa militare, ma questo non si riflette nella forza della nostra capacità industriale di difesa. L’industria della difesa è troppo frammentata, il che ostacola la sua capacità di produrre su scala, e soffre di una mancanza di standardizzazione e interoperabilità delle attrezzature, che indebolisce la capacità dell’Europa di agire come una potenza coesa. È evidente che l’Europa è al di sotto dei risultati che potrebbe raggiungere se agisse come una comunità”.

La finalità moralistica

Una considerazione finale. Proprio nel giorno in cui l’Unione europea sposa l’agenda Draghi bisognerebbe ricordare la totale insipienza della classe politica italiana di destra e sinistra che, appena caduto il governo Draghi, ha cercato di cancellare le tracce della sua eredità. Una destra ottusa, ispirata dal sovranismo politico, rifiuta il ruolo di volano per lo sviluppo che l’Europa può svolgere. Una sinistra retriva e infantile ha cancellato la crescita dal suo vocabolario. Tocca ancora una volta ai pochi riformisti in campo, il compito di rivendicare il cambiamento radicale suggerito dall’ex premier italiano.

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient