Il rapporto si può fare ma ripartendo dall’industria
Draghi ha prospettato una politica dal basso, propositiva e per nulla dirigista
Alla vigilia dell’approvazione della nuova legge di stabilità, stupisce che il dibattito sul dopo Pnrr rimanga ancora al solo livello propositivo di idee, di stimoli alla riflessione e non sia già da ora strutturato in norme, procedure e processi. Come è noto ormai, una volta stabilito l’avanzo primario, la nuova legge di stabilità per il 2025 fissa un limite al ricorso alla spesa per un periodo di 5 anni rispetto al quale valutare il sentiero di crescita del pil reale di ciascuna economia europea: il piano strutturale di bilancio prevederà gli impegni e le spese per i prossimi 5 anni, fino al 2029, comprensivi dei limiti alla spesa primaria calcolata per annualità.
È evidente l’impatto su settori alimentati dalla mano pubblica, come lo stock di investimenti fissi lordi: il sentiero di aggiustamento di bilancio, che per l’Italia è stato sempre abbastanza stretto, ora diventa “obbligatorio” e non più facoltativo proprio perché una volta dichiarata la traiettoria del bilancio per i successivi 5 anni, eventuali deviazioni da quella traiettoria vanno giustificate. Ed eventuali dichiarazioni di deviazione comportano ed è questa la vera novità, una responsabilità politica palese, evidente a tutti. È in questo sentiero che impatta il PNRR: la disponibilità di cassa anno per anno necessaria alla esecuzione dei cantieri va fissata globalmente nel medio periodo, declinata sulla base delle esigenze anno per anno, a condizioni di redditività immutate, cioè a quadro regolatorio fermo.
I 41,34 mld in digitalizzazione cultura turismo, i 55,53 mld per la rivoluzione verde e la transizione ecologica, I 23,5 mld per le infrastrutture, i 30.49 mld in istruzione e ricerca i 16, 92 mld per l’inclusione, i 15,63 per la salute gli 11,18 mln per repower Eu sono tutti finanziamenti assegnati ai propositori dei relativi progetti, spesso soggetti aggiudicatori di mano pubblica, che in virtù della propria natura di ente pubblico , vedi i Comuni, o in virtù di concessione in esclusiva, vedi i monopolisti legali e naturali, sfrutteranno i rispettivi servizi. Ed a seconda del grado di concorrenza previsto per legge di settore, le modalità di sfruttamento oscilleranno tra prezzi di mercato o quasi prezzi di mercato, tariffe, pedaggi per gli usi dell’infrastruttura, gratuità.
Se il Pnrr ha provveduto e provvederà al sostegno dei costi di capitale fisso, in molti casi già conosciamo ad oggi chi sosterrà i costi operativi e le relative rendite. A questo si aggiunga che in costanza di spinte alla autonomia federalista basate sulla definizione dei livelli essenziali di prestazione, con il Pnrr stiamo modificando proprio quei livelli di servizio, senza neanche porci il tema della frammentazione delle capacità decisorie dovute soprattutto all’autonomia vera o ambita di molte regioni o quello della sussidiarietà: quali sono i servizi e quindi i beni di interesse pubblico, quali e quanti beni e chi paga, stato o mercato, i servizi che da quei beni derivano. A ben vedere stiamo provvedendo alla attuazione in parte fisica di quegli investimenti ma non stiamo accompagnando la produzione di cantieri con l’attuazione delle regole, cioè del quadro di regole in cui quegli investimenti vivono, producono servizi e sviluppo, si distribuiscono su territorio, generano coesione e ricchezza. Non stiamo cioè mettendo sul piano dell’evidenza pubblica nuove logiche e conseguenti nuovi strumenti finanziari per la gestione dei servizi, ma ci stiamo ponendo solo temi di finanza pubblica riferiti a costi di capitalizzazione del Pnrr, quali e quanto saranno le quote di cassa annuali disponibili per la continuazione dei cantieri: non stiamo valutando l’impatto economico e finanziario e la ricchezza dei servizi che ne deriveranno.
Programmare, pianificare ed attuare sono attività che dovrebbero comprendere soprattutto anche la dichiarazione delle attività gestionali dell’intero ciclo decisionale che ha per oggetto il progetto di infrastruttura a vita intera. Assicurare una percentuale di pil per legge per garantire reti e servizi, investimenti e manutenzione anche nel tempo successivo al PNRR, ritornare a finanziamenti in conto capitale ed abbandonare i finanziamenti in conto impianti, identificare canoni di disponibilità per l’utilizzabilità costante delle reti e dei servizi di interesse generale, sono banali esigenze oggi alla base oggi di molti equivoci, che in parte molti pensano di risolvere con la Nuova legge di stabilità e con strumenti di privatizzazione palesi o surrettizi come ricorsi al partenariato pubblico privato.
La necessità di una visione di pianificazione unitaria e centralizzata di medio periodo e l’insostenibilità del quadro complessivo di bilancio pubblico che deve garantire, oltre la cassa dei costi di capitalizzazione portati dal PNRR, anche la ordinaria manutenibilità dei servizi pubblici insieme a nuovi problemi emergenti come il costo dell’energia, delle pensioni, della sanità, della sicurezza, sono temi che molti pensano di risolvere ricorrendo alla capacità taumaturgica della legge di stabilità che per quanto nuova, rimane figlia di un patto stupido perché non separa e non tratta in un modo diverso le spese per investimenti da quelle per il consumo.
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