Il metodo Draghi si vede anche così: ha atteso lunedì e anche martedì, ha dato il tempo a tutti di schiarirsi e confrontarsi poi però ha suonato il gong. Perché aspettare venerdì o addirittura sabato perché il Pd ha fatto casino con le donne e deve espiare in Direzione la “colpa”, appartiene a quella categoria che Draghi ha definito, disprezzandola, “farisaico rispetto delle quote rosa”.

Così ieri pomeriggio il Consiglio dei Ministri convocato alle 17 per ufficializzare i funerali di stato (stamani) dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere, suo uomo di scorta, Vittorio Iacovacci, “più varie ed eventuali”, è slittato alle 18. E al posto delle “varie ed eventuali” è stata inserita la voce: “Nomina dei sottosegretari”. È stata una seduta più lunga e anche più tribolata del previsto. La coperta era corta, gli appetiti molti e le aspettative sugli incarichi anche. Alle 19 e 30 è stata necessaria la sospensione per evitare che la situazione degenerasse. E anche l’istituzionale Draghi ha potuto così assaggiare quali delizie possono offrire le coalizioni politiche. La seduta è stata aggiornata. Forse direttamente a oggi. Della serie: quando avete (i capidelegazione) finito di scannarvi, me lo comunicate, io (il premier) c’ho da fare.

La prima novità è che Draghi ha mantenuto anche nel sottogoverno una quota di tecnici, una decina su un totale di 42 posti. Il premier si leva subito un dossier scomodo e affida al prefetto Franco Gabrielli, attuale capo della Polizia, la delega all’intelligence. Gabrielli è la scelta più logica, oltre che la migliore: 61 anni appena compiuti, il prefetto, già a capo del Sisde (ora Aise), guida da cinque anni la Polizia di Stato dopo aver coordinato a lungo la Protezione civile e aver trascorso anni in prima fila conducendo le indagini negli omicidi D’Antona e Biagi e in molte inchieste sul terrorismo internazionale. Fin qui l’aspetto tecnico. Quello che più conta è quello politico. La delega ai servizi segreti è stato uno dei motivi per cui Italia viva ha cominciato a contestare la leadership di Giuseppe Conte che invece quella delega ha voluto tenere per sé nei quasi tre anni a palazzo Chigi. Una concentrazione di poteri su cui prima Matteo Renzi e poi anche il Pd hanno preteso chiarezza. Sarebbe stato difficile da spiegare se Draghi non avesse subito dato la delega.

Il dossier sottosegretari è stato gestito da Roberto Garofoli, braccio destro di Draghi a palazzo Chigi. Lunedì scorso, dopo il giuramento, Draghi aveva chiesto ai segretari di indicare una lista di nomi per un range di posti che, pesato con tanto di Cencelli in base alla forza parlamentare, oscillava tra i 10-12 per il Movimento 5 Stelle, 6-8 per Lega, Forza Italia e Pd che più o meno hanno gli stessi parlamentari, 2-3 per Italia viva e uno a testa per i piccoli gruppi in appoggio al governo. Solo che il sottosegretario alla Presidenza si è trovato in una palude di veti incrociati che hanno tenuto il dossier fermo fino a ieri. E se fino a martedì erano i 5 Stelle a non aver ancora consegnato la lista, ieri pomeriggio i nomi mancanti erano proprio quelli del Nazareno. Bloccati dalla richiesta di alcune deputate e senatrici (il cosiddetto Lodo Pini) di aspettare la direzione del Pd (oggi) prima di chiudere qualunque partita relativa alle nomine. Non è andata così nei tempi. Ma non c’è dubbio che Zingaretti abbia fatto il restyling più corposo rispetto ai desiderata dei pretendenti, uomini e donne.

Così nella lista arrivata ieri sul tavolo del Cdm c’erano sei nomi, cinque donne e un solo uomo, l’ex ministro Enzo Amendola che dovrebbe tornare ad occuparsi di Politiche comunitarie. Draghi infatti lo ha indicato come tecnico per quella stessa delega. Tra le donne ci sono alcune conferme e qualche sorpresa. Resterebbero al loro posto Simona Malpezzi (Rapporti con il Parlamento), Anna Ascani (Istruzione) e Marina Sereni (Esteri). Le novità sarebbero Alessandra Sartore, assessore alla programmazione economica della Regione Lazio e destinata al Mef, e Assuntela Messina al ministero del Sud. Ancora una volta dominano le correnti del Pd: se Sartore è area Zingaretti, Messina è area Boccia-Emiliano; Malpezzi e Ascani per Base Riformista, Sereni per Area dem (Franceschini). Mancano nomi di peso convinti di essere confermati come Misiani al Mef e Martella all’Editoria. E su questo si è incendiata la riunione. All’Editoria infatti sarebbe stato indicato in un primo momento Giorgio Mulè (Forza Italia), poi trasferito alla casella Difesa, e il Pd è andato in bestia: “Non erano questi i patti”. A questo punto è stata interrotta la riunione. Ma all’editoria è stato assegnato un altro azzurro: Giuseppe Moles.

La più tranquilla sembra la Lega. Sette i posti destinati al partito di Salvini. Tra i nomi indicati ci sono Claudio Durigon (Lavoro) per “controllare” cosa fa il ministro Orlando, Lucia Borgonzoni alla Cultura, Rossano Sasso, Stefano Candiani e Massimo Bitonci (Mef). Al Viminale, alla fine, Salvini è riuscito a far tornare Nicola Molteni che era stato suo braccio destro quando era titolare dell’Interno. Anche questo è uno boccone duro da digerire. Il Movimento si deve alla fine accontentare di undici posti, sette donne e quattro uomini. Erano tredici ma le ultime espulsioni (41 eletti in meno) hanno pesato nel sottogoverno. Tra i nomi sicuri ci sono Carlo Sibilia (Interno), Pierpaolo Sileri (sicuro alla Salute), Laura Castelli ma non è certa al Mef, Alessandra Todde (Mise), Dalila Nesci. Confermati Giancarlo Cancelleri (Mit), Manlio Di Stefano (Esteri).

Tra le new entry Rossella Accoto (Lavoro), Dalila Nesci (Sud), Anna Macina (Giustizia), Barbara Floridia (Istruzione), Ilaria Fontana (Transizione ecologica). Fuori dalla lista Buffagni. Italia viva torna alla formazione iniziale con Teresa Bellanova sottosegretario al Mit e Ivan Scalfarotto. Per Forza Italia (6 caselle) dovrebbero entrare Debora Bergamini, Giorgio Mulè (Difesa), Francesco Paolo Sisto, Francesco Battistoni, Gilberto Pichetto Fratin, Giuseppe Moles. A dodici giorni dal giuramento la squadra di governo a questo punto è pronta. Può marciare a regime.

Anche la parte più difficile, la creazione del nuovo ministero per la Transizione ecologica affidata al fisico Cingolani, è stata completata. Definito, molto più facile, lo spacchettamento dal Turismo dalla Cultura: sono entrambi tra i settori più penalizzati dal Covid e in questo momento c’è bisogno che quei mondi possano avere un ministero di riferimento che si occupi in esclusiva di quei problemi. Il decreto di pagine è pronto. Il Mise, affidato a Giorgetti, perde deleghe importantissime. Si potrebbe parlare di un Giorgetti svuotato. Ma non è così.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.