La crisi dell'esecutivo e dell'economia
Draghi o chi per lui, all’Italia servono misure anti crisi
È difficilmente paragonabile, il caso governativo-parlamentare di oggi, a quel che accadde nel 1976 con la maggioranza della “non sfiducia”. Al di là dell’elaborazione ingegnosa di una sostanziale doppia negazione, si arrivava a quella decisione, precorritrice della maggioranza di solidarietà nazionale, dopo plurime vicende, a partire da elaborazioni teoriche quale quella del compromesso storico. Basterebbe ricordare che allora vi erano i partiti, entità oggi in corso di dissolvenza. “Quod Iovi, non bovi”, verrebbe da dire per il raffronto con l’oggi. Il “che fare” adesso non è semplice, dovendosi navigare tra Scilla e Cariddi, tra la necessità, da un lato, di agire e di elevare la qualità e l’innovazione nell’azione di Governo, mentre si tratta di attuare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), nonché di preparare la legge di bilancio per il 2023 e, dall’altro, di evitare che ci si concentri solo su questi pur fondamentali aspetti, mentre incombe l’esigenza di un programma organico, raccordato con il Pnrr, per affrontare, in un’ottica non meramente congiunturale, le straordinarie esigenze di questa fase.
Finora non vi è stata inerzia dell’Esecutivo. È stata però percorsa la strada delle misure, ripetute, “a pezzi e bocconi”; si è fatta leva sui bonus per famiglie e imprese (un discorso a parte merita, però, il superbonus 110 per cento varato dal precedente Governo), su provvedimenti “ad tempus”, ritenendo verosimilmente che le decisioni strutturali sono quelle del Pnrr senza necessità di ulteriori interventi. Ne sono derivate insoddisfazioni e rivendicazioni. È emersa nella sua corposità la questione delle gravi disuguaglianze e della povertà che rappresentano l’altro aspetto della crisi che colpisce imprese e famiglie. Salari e pensioni, da un lato, produttività totale dei fattori, innovazione e ristrutturazione, dall’altro, richiedono, nella direzione verso la quale, del resto, si ci si sta muovendo, un patto sociale che sia fondato, però, sulla politica dei redditi, di tutti i redditi, come sosteneva Carlo Azeglio Ciampi, con le modalità con le quali oggi è perseguibile una tale politica che deve essere alla base del “patto”.
Certo, è difficile poter rinvenire nella storia postbellica un concorso di eventi negativi o difficili quale quello con cui ora ci confrontiamo: impatti della guerra condotta dalla Russia contro l’Ucraina, inflazione assai elevata e connessa ai gravi problemi energetici, ripresa dei contagi del covid, materializzazione dei rischi di crisi alimentare, se non di carestia, deglobalizzazione, problemi geopolitici. Non basta, insomma, fare riferimento, come elemento unificante, al Pnrr; né si può attendere la prossima sessione di bilancio per varare un piano organico di misure, non “disiecta membra”, che, come accennato, fronteggino le difficoltà di questa fase e, nel contempo, si colleghino con il Piano di ripresa. Vi è, poi, il versante delle iniziative in sede europea, a cominciare da quella per l’energia, a proposito della quale finora non ha fin qui sortito convergenze la proposta Draghi di porre un “price cap” al gas, ma appare sempre più necessario un Recovery Plan in campo energetico. Del pari, a partire da questa materia è sempre più presente il tema di una sia pur parziale mutualizzazione del debito per iniziative europee unitarie.
L’assistenza all’Ucraina è un altro argomento cruciale sul quale occorre operare per un possibile “idem sentire”, pur rilevando alcune differenziazioni. Il 21 luglio la Bce aumenterà i tassi dello 0,25 per cento, mentre la moneta unica scende e si attesta sulla parità con il dollaro con conseguenze articolate, tra favorevoli e negative. La Bce auspicabilmente presenterebbe, sempre il 21, lo “ scudo anti-frammentazione” ( anti-spread) e finalmente lo si potrà esaminare. Il problema del raccordo tra politica economica, a livello europeo e nazionale, e politica monetaria diventa nelle difficoltà ancor più stringente. In questo quadro, anche se non vi fosse stata l’iniziativa dei “ 5 Stelle” che può essere variamente giudicata, il problema di un deciso cambio di passo nell’azione di Governo per il percorso di fine legislatura ugualmente si sarebbe posto, in termini diversi, ma non sottovalutabili.
Ora, al di là delle scelte politico-partitiche, non è improprio porre l’alternativa: si affrontano i contenuti di cui tutti ormai parlano e, allora, la prosecuzione del percorso del Governo o di un Governo è ben motivata e si impone; non vi sono ragioni sufficienti, credibili ed esigibili per una tale prosecuzione che faccia leva sui contenuti, e, allora, bisogna imboccare “obtorto collo” la via della fine della legislatura, sia pure con tutti i problemi che essa reca con sé. E’ una strada “ vitanda”, ma può diventare rapidamente la “extrema ratio” alla quale si deve ricorrere pur facendo del tutto per non arrivare a tale approdo.. Occorre pensarci bene, superando, innanzitutto, personalismi, primazie, ritorsioni, ma anche aspettative elettorali e illusioni di sorti magnifiche e progressive. Il bisturi, tuttavia, può diventare inevitabile e, allora, sarà bene farvi ricorso quando si avesse la percezione dell’avvio verso un esito senza ritorni.
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