Il leader del Movimento fa marcia indietro ma resta la tensione
Draghi rifiuta il ricatto di Conte: se il M5S esce, cade il governo

Mario Draghi fiuta la crisi. Il campanello d’allarme è risuonato dall’alto del Colle, il richiamo in patria del premier dal vertice di Madrid è stato tanto inusuale quanto eloquente. Ugo Zampetti, Giovanni Grasso, Roberto Garofoli e Antonio Funiciello hanno attivato, la sera del 29 giugno, l’allarme rosso. Sono loro i quattro rotori della cinghia di trasmissione Quirinale-Chigi incaricata di valutare (e prevenire) le crisi. Hanno avvertito i tamburi di guerra del Movimento e li hanno messi in continuità con quelli della Lega. Salvini picchia duro sullo Ius Scholae: alle prese con i malumori di mezzo Carroccio, una battaglia identitaria gli serviva come il pane. E pazienza se slitta di una settimana, su richiesta del Pd Emanuele Fiano.
L’argomento è troppo ghiotto per non cavalcarlo. Vale lo stesso per i Cinque Stelle, o quel che ne rimane. Ecco che Lega e 5 Stelle tornano a fare asse, in unna intesa mai sopita e oggi necessaria. Giuseppe Conte è appeso a un filo. O a più fili. E chi li muove, da dietro le quinte, è un puparo che gioca al massacro. L’incendiario di questa infuocata estate le pensa tutte, incluse le telefonate velenose di Draghi a Grillo, fatte balenare a tutta pagina. “Siamo pronti all’appoggio esterno”, si spalleggiano l’un l’altro i contiani rimasti nel Movimento. Il ragionamento è che standone un passo fuori, avrebbero un margine d’azione – e di contestazione – maggiore verso l’esecutivo. Una spinta decisiva l’avrebbero data i sondaggi riservati (ne circola uno di EMG) dove il M5S fuori dal governo prenderebbe quasi il doppio del consenso rispetto al Movimento governista. Ecco che Draghi riunisce per tre ore il Consiglio dei Ministri – con ordine del giorno sulle misure di sostegno a famiglie e imprese: le bollette, i rincari, la siccità – e subito dopo indice una conferenza stampa che dà tutte le risposte ai cantori della sfiducia. Una conferenza stampa tutta politica.
“La prima cosa di cui sono molto soddisfatto – ha detto Draghi – è che il Governo ha raggiunto tutti i 45 obiettivi previsti dal Pnrr per questo semestre. Il ministro dell’Economia ha già inviato alla Commissione europea la richiesta per l’esborso di 24,1 miliardi di euro, al lordo dell’anticipo che è stato già versato. Sono stati approvati provvedimenti urgenti per sostenere il potere di acquisto delle famiglie, abbattiamo l’Iva e rafforziamo il bonus sociale, interveniamo per incrementare lo stoccaggio di gas naturale e gli aiuti alle famiglie sulle bollette. In mancanza di queste approvazioni ci sarebbe stato un disastro con aumenti fino al 45%”. E chi protestava per il Pnrr può ben annotare cifre e date. Sulla schermaglia politico-parlamentare non entra. Non è mai entrato. “Ius Scholae e Cannabis sono proposte di iniziativa parlamentare – ha spiegato Draghi – e il governo non prende posizione, su questo come altre proposte di iniziativa parlamentare”. Poi però risponde a Conte, sminando le trappole: “Il governo è stato formato per fare e ho anche detto all’inizio a tutti che questo governo non si fa senza cinque stelle e questa resta la mia opinione”, ha aggiunto il premier.
Amareggiato per le polemiche insussistenti che qualcuno ha montato ad arte. E per quella che chiama “sproporzione” tra gravità della situazione internazionale e disattenzione della stampa italiana, ombelicalmente puntata sulle baruffe di bottega. Sottolinea il premier: “Non ho sentito Grillo, mentre ho sentito Conte ieri e ci siamo scambiati dei messaggi. Non ho mai fatto le dichiarazioni che mi sono state attribuite sui 5 stelle, io non entro nei partiti. Mi è estraneo e non capisco il motivo di tirarmi dentro. Dicono che ci sono riscontri oggettivi, vediamoli”. Lo ha detto due volte. “Mi dicono che ci sono dei miei messaggi su Conte. Mandatemeli, li voglio vedere”. E com’era intuibile, di quei messaggi non c’è neanche l’ombra. Tanto che il premier Draghi può concedersi una battuta che è un piccolo manifesto politico: “Costituire un argine al populismo è un obiettivo ambizioso. Diciamo che io spero di renderlo non più necessario”. Conte incassa il colpo e fa sapere che l’appoggio esterno è escluso. E al telefono con Draghi, la voce sarebbe apparsa conciliante: “Non mi ha parlato di rimpasto. Nessuno ha chiesto un rimpasto di governo”, rivela Draghi. Avrebbero scherzato, i buontemponi. Luigi Di Maio arriva alla Camera e presiede l’assemblea congiunta dei suoi parlamentari.
Ha appena costituito il gruppo anche al Senato, capogruppo l’ex M5s Primo De Nicola, grazie al prestito del simbolo del Centro Democratico di Bruno Tabacci. Il ministro degli Esteri alza i toni: “Quello visto in questi giorni è uno spettacolo indecoroso. Un teatrino che stanno facendo due forze politiche in un momento storico delicato, mentre si stanno decidendo cose importanti anche per l’Italia”. E illustra il suo percorso: “Con Insieme per il futuro abbiamo fatto una scelta di maturità rispetto ad atteggiamenti che non sono più condivisibili e sostenibili’. La funzione del suo gruppo sta nel mettere in sicurezza l’esecutivo: “La nostra azione sarà duplice: In parlamento per stabilizzare il governo così da sterilizzare i colpi di testa di alcune forze politiche e sul territorio, dove continueremo ad aggregare con programmazione e visione a lungo termine. Questo serve e dobbiamo essere umili, guardiamo anche all’esterno. Umiltà, responsabilità e professionalità. Così affronteremo le sfide che ci attendono”. Tutto l’opposto, si legge tra le righe, di quel che Conte e Grillo hanno messo in scena in questi giorni.
“Un teatrino, una commedia fatta per riguadagnare le prime pagine dei giornali”, dichiara al Riformista il vice capogruppo di Italia Viva alla Camera, Marco Di Maio. Anche il senatore Pd Andrea Marcucci è nauseato dalla giostra contiana, senza escludere che a forza di recitare, gli attori finiscano per fare sul serio. ““Io credo che intorno a ottobre/novembre il panorama politico sarà abbastanza diverso da quello di oggi”. Ed è molto critico verso la strategia di affidare all’asse con Conte il futuro della sua forza politica, che infatti di Campo largo evita ormai di parlare. “Con la vicenda De Masi – continua il parlamentare dem di Base Riformista – il M5s ha cominciato una sorta di prova tecnica di allontanamento dal governo, precostituendosi ragioni che esulano dal confronto politico”. Secondo Marcucci “la prima conseguenza della loro fuoriuscita sarebbe l’impossibilità del Pd di immaginare qualsivoglia alleanza con loro. Il segretario Letta rivendica giustamente il fatto che i nostri gruppi parlamentari siano diventati l’architrave dell’esecutivo: ne consegue che non si potranno certo fare intese con quelle forze esterne ed ostili al governo”.
Per Marcucci c’è una sola strada “Il Pd non è solo, abbiamo visto il contributo importante che il civismo ci ha portato alle recenti elezioni comunali, poi c’è una variegata offerta politica che guarda al centro. Renzi, Calenda, di Maio, Sala, per citare solo i nomi più noti, esponenti e forze politiche con cui il Pd deve dialogare per strutturare una proposta per l’Italia”. Conte rimane chiuso nel suo fortino, assediato dai suoi. La visita di Grillo a Roma non solo non ha contribuito a fare chiarezza, ma ha confuso se possibile ancora di più le cose. Nessuna decisione è stata presa, nessun ruolo acclarato. La due giorni che avrebbe “stancato molto Grillo”, come rivela un parlamentare pentastellato, non ha partorito un topolino. Sul tetto ai due mandati e sulla candidatura per la Sicilia, tutto in alto mare quando ormai il tempo è scaduto. Il sottosegretario M5s Giancarlo Cancelleri annuncia il passo indietro, non correrà più. Almeno così ieri sera. Il Movimento ogni giorno sconfessa quanto detto il giorno prima. Si rimangiano anche il voto on line e la democrazia diretta, tutta intera: “Il movimento siciliano ha fornito tre nomi su cui Conte dovrà decidere: il capogruppo del Movimento all’Ars Nuccio Di Paola e Luigi Sunseri e la senatrice Barbara Floridia”, viene comunicato. Il leader adesso deciderà da solo chi candidare alle primarie.
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