Verso il semestre bianco
Draghi saldo al governo, per il Quirinale si va verso un Mattarella bis
Mario Draghi fa il Presidente del Consiglio senza percepire stipendio. Un premier di altissima qualità a “costo zero”. Non è un dettaglio. È un valore aggiunto di grande appeal di questi tempi. Con il Presidente della Repubblica lavorano e agiscono in sintonia: ieri mattina erano insieme alla cerimonia dell’anno giudiziario della Corte Costituzionale, un fatto raro, non scontato e di grande rispetto e levatura istituzionale. Draghi impegna se stesso con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen a garanzia della realizzazione del Recovery plan italiano, non tanto i trecento e passa progetti, quanto le riforme che l’Italia dovrebbe fare da vent’anni. E il Capo dello Stato convoca i presidenti di Senato e Camera per raccomandare “un percorso parlamentare efficace e tempestivo”.
Draghi-Mattarella, è un binomio che si muove in sintonia perfetta. Da entrambi dipende il destino dell’Italia. Che è quello scritto nelle oltre duemila pagine del Pnrr. Sarebbe tutto chiaro se la legislatura fosse all’inizio e il settennato quasi. Il problema è che sono entrambe agli sgoccioli. E questo costringe ad aprire il libro della successione. A palazzo Chigi e al Quirinale. C’è chi dice “è troppo presto”. Chi invece già alimenta retroscena, titoli e suggestioni. Chi pubblica libri. Piaccia o no, tempo due mesi e il gran ballo del Quirinale avrà inizio. Il semestre bianco, il momento dal quale non sarà più possibile per il Capo dello Stato sciogliere le camere, inizia il 3 agosto. Se quella sarà la data che legittima le ipotesi sull’identikit del Presidente della Repubblica numero 13, la raccolta degli indizi è invece già iniziata. E gli indizi, diciamolo subito, vanno verso un Mattarella bis, cioè una nuova elezione del medesimo Capo dello Stato, e la permanenza di Draghi a palazzo Chigi almeno fino al 2023. Era già successo con Giorgio Napolitano anche se allora i motivi furono deprecabili: era il 2013, l’esordio dei 5 Stelle in Parlamento e le forze politiche non riuscirono a trovare l’accordo per convergere sul nuovo Capo dello Stato. Questa volta è diverso. Questa volta si tratta, si spiega, di “una convergenza di motivi nobili e ignobili”. Detta meglio, “sistemici e partigiani”.
I motivi “nobili” sono che chi ha potuto studiare le oltre duemila pagine del Pnrr, da una settimana disponibili anche in Parlamento, ha visto e capito che “la bozza degli uffici sugli adempimenti di quel Piano occupa per intero gli anni 2022 e 2023”. Difficile immaginare di poter cambiare mano alla regia mandando a casa il premier Draghi, aprendogli le porte del Quirinale e cercando un sostituto a palazzo Chigi senza passare dal voto. E qui arrivano i motivi cosiddetti “ignobili”: la maggior parte dei parlamentari, consapevoli della riduzione di un terzo dei seggi, sa benissimo che non tornerà in Parlamento e vorrebbe almeno concludere la legislatura. Arrivare cioè gennaio 2023. I motivi “nobili” possono essere definiti anche “di sistema”. E quelli “ignobili” possono essere nobilitati a “partigiani”. Lessico e definizioni a parte, è evidente che la “sintonia sinfonica” Draghi-Mattarella è destinata a continuare. Piaccia o no al centrodestra di Meloni e Salvini, la parte politica che sulla carta avrebbe più voglia e motivi per andare al voto prima. Così non è per il Pd e per il centrosinistra. Compresi i 5 Stelle. La cui alleanza è saltata in aria e anche questo pesa sulle tempistiche in questione.
Tra Draghi e Mattarella è un continuo passarsi il testimone. La convocazione mercoledì al Colle della presidente del Senato Elisabetta Casellati e del presidente della Camera Roberto Fico non è stata certo una tirata di orecchie al “governo dei migliori” come qualcuno ha voluto rappresentare, quasi che il problema fosse dentro il governo, bensì un monito a chi guida il Parlamento perché lo trasmetta ai gruppi. Occorre fare presto, è vero, e anche bene. Ed è possibile soddisfare entrambi questi obiettivi se le forze di maggioranza in Parlamento sapranno dimostrare di marciare unite nella stessa direzione anziché deviare in continuazione per piantare qualche bandierina. Cosa, questa sì, che sta accadendo spesso e rallenta l’azione del governo. Il governo Draghi deve potere, dalla prossima settimana alla fine del 2022, approvare e realizzare una serie di riforme di cui l’Italia ha bisogno come il pane.
La prossima settimana, ad esempio, il governo presenterà più decreti, tutti di massima importanza: 38 miliardi per aziende, famiglie e imprese e vaccini; il decreto governance, come e chi gestirà il Pnrr, la control room di palazzo Chigi, il ruolo del ministero delle Finanze e poi quello di comuni e regioni; il decreto Semplificazioni, circa 60 articoli che riguardano in modo trasversale tutta la pubblica amministrazione e che devono togliere di mezzo “tutti i colli di bottiglia che bloccano e rallentano l’iter di autorizzazioni, concessioni e appalti”.
Entro la fine di luglio dovranno essere incardinate la riforma della Giustizia (civile, penale e tributaria) che, secondo il cronoprogramma, dovranno essere completate, decreti delegati compresi, entro la fine del 2022. E, sempre a luglio, deve essere pronta la riforma fiscale. È un elenco lunghissimo. Per cui non è possibile perdere tempo. E neppure cambiare la cabina di regia. Cioè Draghi e Mattarella. Rispetto al quale fioriscono appelli, mail e lettere perché resti al Quirinale (e Draghi a palazzo Chigi). Almeno quel tanto che serve per restituire all’Italia la ripresa dopo la pandemia e cambiarla per non ricadere di nuovo. Anche per questi motivi “sistemici o partigiani” il dibattito sulla legge elettorale è scomparso dalla scena.
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