Ora occhi puntati sul Recovery
Draghi sta diventando il capo dell’Europa, dai vaccini al sofagate sta imponendo la sua leadership
Quell’insospettabile senso di Draghi per la leadership. Tutti quelli che temevano il premier tecnico-bravo-ma noioso che avrebbe messo ordine tra i dossier per farli marciare, al momento non sanno ancora bene come procederanno i famosi dossier ma di sicuro si trovano davanti un premier con un insolito senso per la politica, la scena e, appunto, la leadership. L’affermazione di ieri sul presidente turco definito “dittatore” come se fosse la cosa più normale del mondo dopo il sofagate in cui Ergodan ha negato la poltrona a Ursula von der Leyen, non era certo programmata ma neppure è stata una frase dal sen fuggita. Il risultato è un incidente diplomatico in piena regola di cui però andare per una volta orgogliosi. In queste ore si parla e si guarda all’Italia e al suo “prime minister” non per qualche scandalo, pettegolezzo o scarsa fiducia. Bensì, come ha commentato tra le prime ieri Emma Bonino, «perchè Draghi ha detto ciò che tutti pensano di Erdogan ma nessuno ha il coraggio di dire». E siccome in questi quasi due mesi a palazzo Chigi è capitato spesso di cogliere nell’azione di Draghi iniziativa e autonomia di giudizio, viene naturale mettere i fila frasi, azioni e affermazioni. Unendo i puntini salta fuori la figura di un politico che si sta preparando ad un ruolo chiave sulla scena europea.
Ieri Draghi si è occupato di PNRR, ha incontrato il commissario economico Ue Paolo Gentiloni e poi anche il segretario del Pd Enrico Letta come aveva incontrato i leader di Leu Pierluigi Bersani e della Lega Matteo Salvini. Con un occhio sempre ai vaccini in contatto permanente con il commissario Figliuolo e il capo della Protezione civile Curcio. Vaccinare e impostare bene il Recovery plan italiano: queste sono le urgenze. I dossier su cui non sono ammessi errori. Non ci può essere tempo per gestire una crisi diplomatica che è meglio congelare e poi si vedrà. Così ieri la prima preoccupazione di palazzo Chigi è stata convincere Matteo Salvini che non era il caso di fare una manifestazione sotto l’ambasciata turca. Salvini per fortuna ha capito.
La richiesta del governo di Ankara, consegnata brevi manu al nostro ambasciatore Massimo Gaiani, di «ritirare immediatamente le dichiarazioni impertinenti e inopportune del premier italiano» è stata recapitata. Poi si vedrà. Di sicuro ieri tutta Europa, in modo più o meno esplicito, si è espressa sull’affaire. Certo non ha parlato il presidente Macron né la cancelliera Merkel. Non avrebbero potuto. Hanno però lasciato fare i rispettivi uomini di fiducia come il ministro economico Bruno Le Maire e il leader del Ppe, il tedesco Manfred Weber. Come se in un colpo solo Draghi avesse reso almeno un po’ giustizia di tutto quello che l’Europa ha visto e ho dovuto sopportare in Turchia in questi anni. Sulla violazione dei diritti umani, sul ricatto del campo profughi da dove Erdogan è pronto in qualunque momento a far partire centinaia e centinaia migranti verso l’Europa. Tanto per dirne un paio.
Nella conferenza stampa di giovedì Draghi si era «molto dispiaciuto per l’umiliazione che ha dovuto subire Ursula von der Leyen» nel corso della visita ad Ankara, aggiungendo: «Con questi dittatori, di cui però si ha bisogno per collaborare, uno deve essere franco nell’esprimere la diversità di vedute e pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio paese, bisogna trovare l’equilibrio giusto». Tutti ieri a chiedersi perché una risposta così secca e netta. È un fatto che poiché la domanda del giornalista riguardava anche Charles Michel, presidente del Consiglio che neppure ha fatto il cenno di far sedere la von der Leyen ma Draghi non ne ha fatto cenno nella risposta, il premier ha parlato per difendere l’onore dell’Europa, delle sue istituzioni e delle donne. Ventuno eurodeputati tra cui 16 italiani hanno chiesto le sue dimissioni: se Erdogan è un autocrate (tecnicamente più corretto di dittatore), Michel ha brillato per zero rispetto istituzionale e zero cavalleria.
In due mesi a palazzo Chigi Draghi ha parlato abbastanza poco. Quella di giovedì è stata la terza conferenza stampa poi ci sono stati gli interventi in Parlamento o gli speech a margine in qualche occasione istituzionale L’uomo risponde a tutte le domande, in modo netto, senza giri di parole e se non vuol rispondere lo dice. Condisce il tutto con un bel po’ di ironia. Il che non guasta. Un bel passo avanti. Nei vari interventi è possibile trovare gli indizi per cui non ci si deve stupire di quanto è successo giovedì. Appena arrivato, nei colloqui informali con i vari leader di partito e poi in aula per la fiducia, Draghi ha subito chiarito la linea in politica estera: più Europa e più atlantismo, l’affermazione dei valori dell’Occidente e la ricostruzione del ruolo dell’Europa. Il 24 marzo, alla vigilia del Consiglio Ue, ha detto: «In Libia l’Italia difende i propri interessi internazionali e la cooperazione. Se vi fossero interessi contrapposti, non dobbiamo avere timori referenziali verso qual che sia il partner. Nel corso della mia vita mi pare di aver dimostrato estrema indipendenza nella difesa dei valori fondamentali dell’Europa e della nazione». Detta meglio, è un po’ dire che a volte tocca mantenere rapporti diplomatici anche con i dittatori. Con l’obiettivo superiore di contenere danni e portare “il dittatore” in questione dalla propria parte.
L’Europa prima di tutto. Ma Draghi non ha lesinato critiche anche aspre. Sul contratto europeo sui vaccini Draghi ha ampiamente espresso il suo disappunto. «Le responsabilità sono tante – ha ripetuto giovedì – c’è stata un po’ di leggerezza nei contratti. Ma state tranquilli che i rinnovi saranno fatti meglio». E poi, ne usciremo con l’Europa certo, «ma se dovesse servire anche da soli». Fu sua l’idea di bloccare l’export di vaccini “fabbricati” in Italia in caso di “violazione della reciprocità” e in “assenza di proporzionalità”, verso paesi già molto avanti con l’immunizzazione. La Commissione ha messo per iscritto e dettagliato meglio questo principio nell’ultimo Consiglio del 26 marzo. Non le ha mandate a dire alla Gran Bretagna della Brexit: «Con Astrazeneca (il vaccino di Johnson e della Brexit, ndr) è stato facile bloccare l’export: non hanno rispetto alcun accordo e si sono venduti le dosi tre e anche quattro volte». Non le ha mandate a dire neppure a Putin: «Sputnik? Vediamo, aspettiamo la valutazioni di Ema, però ci risulta che gli emissari russi stiano vendendo qualcosa che non possono produrre». Appena arrivato Draghi ha preso in mano per poi affidarlo al ministro Giorgetti il dossier per produrre entro l’anno il vaccino europeo. Intanto alza il telefono un giorno sì e l’altro pure con le big pharma (lo ha fatto ieri con Moderna) per assicurarsi lotti in più nel rispetto del contratto Ue per armare gli oltre duemila hub vaccinali. Anche con Biden c’è un patto di implementazione delle dosi, appena gli Stati Uniti potranno e nel caso l’Europa ne avesse ancora bisogno.
Più Europa ma mai col piatto in mano rispetto a Bruxelles. È stato molto duro ad esempio sul dossier Alitalia: l’Italia, è stato il senso dell’intervento, non accetterà discriminazioni nella trattativa tra il Governo e la Ue per far decollare al più presto la newco di Alitalia. «Siamo in piena trattativa (con i ministri Franco, Giorgetti e Giovannini e la Commissaria Ue alla concorrenza Margrethe Vestager, ndr) ed è chiaro che non possiamo accettare asimmetrie ingiustificate. Se ci sono ragioni per maltrattare Alitalia le vedremo, ma non accetteremo discriminazioni arbitrarie». Un ruolo centrale per l’Italia in Europa. È questo che sta costruendo l’ex numero uno della Bce. Che ha salvato l’euro e insieme salvò l’Europa e l’Italia. Italia che da troppo tempo non riesce a giocare un ruolo da pivot nella comunità di cui è stata fondatrice. La congiuntura è favorevole. A patto che riesca a far funzionare il Pnrr italiano e a fare quelle riforme che l’Europa chiede da anni, Draghi può veramente diventare leader di riferimento nella Ue e per la Ue. In asse con la Francia di Macron (al voto nel maggio 2022) che a settembre perderà il tandem con Angela Merkel e già adesso appare più neutra ed astensionista.
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