L'ennesimo appello dell'ex governatore Bce
Draghi striglia ancora l’Europa: “Basta austerity e salari bassi altrimenti tra 25 anni non cambierà nulla”
Nella Ue orfana di leader, SuperMario lancia un avvertimento a Bruxelles. Cina e Usa corrono: servono riforme per superare la nostra fase di declino
L’Europa è vittima di una delle peggiori crisi della sua esistenza. Nemmeno durante il periodo nero dei debiti sovrani o il buio del Covid l’industria ha mostrato una debolezza strutturale così persistente e soprattutto senza vie d’uscita. Eppure in questo momento di sconforto per l’Europa e per i sostenitori dell’europeismo si erge la figura di Mario Draghi che, da qualche mese, fa sentire la sua voce sulle cause di questa fase e sulle possibili soluzioni. Grazie a un incarico diretto di Ursula von der Leyen, l’ex premier italiano ed ex numero uno della Banca centrale europea ha potuto delineare con precisione la diagnosi della stagnazione della produttività nel Vecchio Continente, evidenziando la debolezza dell’industria. In parole povere, secondo il pensiero di Draghi, negli ultimi 20 anni Bruxelles ha preferito “regolare” le attività piuttosto che stimolare il dinamismo imprenditoriale europeo; favorire la nascita di “campioni” di industria che potessero giocare un ruolo a livello globale; e soprattutto ha fallito la svolta ambientale, ridotta a un insieme di norme che blocca le aziende invece che consentire loro di spiccare il volo.
Salari bassi e debito comune
Anche nella giornata di domenica l’uomo del “whatever it takes” ha spiegato cosa sta accadendo all’Europa. “Le politiche europee – ha detto intervenendo a Parigi al Simposio annuale del Centre for economic policy research (Cepr) – hanno tollerato una bassa crescita dei salari come strumento per aumentare la competitività esterna, aggravando la debolezza del ciclo reddito-consumo. Tutti i governi disponevano di uno spazio fiscale per contrastare la debolezza della domanda interna, ma almeno fino alla pandemia hanno scelto deliberatamente di non utilizzare questo spazio. Complessivamente, la politica ha rivelato una preferenza per una particolare costellazione economica, basata sull’utilizzo della domanda estera e sull’esportazione di capitali con livelli salariali bassi. Una costellazione che non sembra più sostenibile”.
Poi è tornato su un suo cavallo di battaglia: “Se la Ue emettesse debito congiuntamente potrebbe creare uno spazio fiscale aggiuntivo da utilizzare per limitare i periodi di crescita inferiore al potenziale. Ma non possiamo iniziare a percorrere questa strada se non sono già in atto i cambiamenti nella struttura dei mercati che potrebbero aumentare i tassi di crescita potenziale nel medio termine”.
La strigliata sulle riforme
Allo stesso tempo l’ex inquilino di Palazzo Chigi ha lanciato un appello affinché “l’Unione europea lotti per conservare i propri valori” e ha spiegato che nel “declino” non c’è nulla di confortevole. Servono invece le riforme, come “quella del mercato unico europeo e dei capitali” che consentano il superamento della fase di declino e portino “a investimenti nella transizione ecologia, verso il digitale e la Difesa”.
Una sorta di chiamata alle armi: “Tutti desideriamo la società che l’Europa ci ha promesso, una società in cui possiamo mantenere i nostri valori indipendentemente da come cambia il mondo intorno a noi. Ma non abbiamo alcun diritto immutabile affinché la nostra società rimanga sempre come vorremmo. Dovremo lottare per conservarla. Se la Ue continua con il suo tasso medio di crescita della produttività del lavoro dal 2015, date le nostre società in invecchiamento, l’economia tra 25 anni sarà delle stesse dimensioni di oggi. Ciò significa un futuro di entrate fiscali stagnanti e surplus fiscali per mantenere i rapporti debito/PIL sotto controllo”.
Questione di leadership
Insomma, chi raccoglierà le analisi di Draghi? Non dimentichiamo che, in questo momento, in Europa latitano i leader. Macron in Francia è azzoppato da un Parlamento contro e dai guai del debito pubblico. Scholz in Germania è al capolinea e le elezioni di febbraio non sembrano chiarire chi governerà Berlino. Resta l’Italia, la cui credibilità però è minata dall’enorme debito pubblico e dalla diffidenza che Giorgia Meloni provoca nei policy maker a Bruxelles.
L’unico in grado di tracciare la strada è proprio Draghi, che sconta una grave debolezza: non ha alcun incarico operativo nella Ue e le sue ricette lasciano il tempo che trovano in paesi riottosi storicamente ad ascoltare. Basti pensare a quanti musi ha fatto storcere negli Stati del Nord la proposta del debito comune. Eppure se l’Unione europea vuole salvare il proprio futuro deve trovare il modo di seguire le sue analisi. Altrimenti Cina e Usa correranno sempre più veloci, mentre il Vecchio Continente affronterà un declino inevitabile.
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