Mai così tanti suicidi nei primi due terzi dell’anno. Cinquantanove in totale, più di uno ogni quattro giorni. In soli otto mesi non erano mai stati registrati così tanti decessi. In tutto il 2021 erano stati 57. Se questi numeri fanno impressione già di per sé, il paragone con quanto avviene nella società esterna desta ancora più clamore: in carcere ci si uccide 16 volte di più rispetto a quanto non avvenga nel mondo libero. Mentre l’Italia in generale è considerato un Paese con un basso tasso di suicidi a livello europeo, se si guarda alle sue carceri la posizione in classifica cambia notevolmente, attestandosi al decimo posto tra i paesi del Consiglio d’Europa.

Questo è quanto Antigone racconta in un dossier realizzato per non far cadere nel silenzio il dramma che sta colpendo le carceri italiane nel 2022. Un documento voluto per raccontare i numeri, ma anche i luoghi e alcune delle storie di quelle 59 persone che hanno deciso di togliersi la vita. Se si guardano le biografie di queste 59 persone si scopre che quasi la metà era di origine straniera. Quattro le donne, una percentuale particolarmente alta rispetto agli anni precedenti. Molte le persone affette da disagi psichici o da dipendenze. Ma, come dicevamo, il dossier di Antigone non parla solo di numeri, ma soprattutto di vite e di storie. Storie di grande dolore, storie di marginalità. Storie di persone che in carcere si trovavano da poco o che avrebbero dovuto lasciarlo a breve. Storie anche di persone che in carcere non ci sarebbero dovute nemmeno essere.

È questo il caso di G.T., un giovane ragazzo di 21 anni arrestato per il furto di un cellulare. A causa delle sue patologie psichiatriche, il Tribunale di Milano lo aveva dichiarato incompatibile con il regime carcerario chiedendo il suo trasferimento in Rems (Residenza per le misure di sicurezza). Dopo diversi mesi da quella pronuncia e un primo tentato suicidio, a fine maggio G.T. si è tolto la vita in una cella di San Vittore. Pochi giorni prima un altro ragazzo si era ucciso a poche celle di distanza. Il dossier riporta poi la storia di A.G., anche lui ventenne, anche lui affetto da disagio psichico, anche lui con un tentato suicidio alle spalle. Neanche due settimane dopo il suo ingresso in carcere si è tolto la vita al Lorusso Cotugno di Torino. Non aveva precedenti penali e quello era il suo primo arresto. C’è poi la storia di D.H., la giovane donna che prima di togliersi la vita nel carcere di Verona ha lasciato un biglietto d’addio al fidanzato.

Il magistrato che da anni seguiva il suo caso, dopo il decesso della donna ha ammesso con dolore che con lei tutto il sistema aveva fallito. Tramite la testimonianza di un signore che ha contattato Antigone abbiamo poi saputo la triste storia di un uomo detenuto per aver rubato una pecora e chiesto il riscatto al proprietario. Affetto da disagio psichico, si è tolto la vita nel carcere di Castrovillari. Nessuno ne ha mai reclamato il corpo e dopo qualche settimana è stato sepolto nel cimitero della città a spese del comune. Queste sono solo alcune delle storie raccolte nel dossier, ognuna frutto di personali trascorsi e sofferenze. Non possiamo però non guardarle nel loro insieme come indicatore di malessere di un sistema da cambiare, in cui il profondo isolamento e l’assenza di speranza la fanno da padrone. Gli interventi da apportare sarebbero molti, c’è bisogno di importanti riforme che andavano però fatte nei mesi scorsi. Oggi, a pochi giorni delle elezioni, non c’è più tempo. Ma c’è tempo per fare due cose.

La prima è quella che Antigone ha chiesto attraverso la sua campagna “Una telefonata allunga la vita”, ovvero la liberalizzazione delle telefonate. Il regolamento attualmente in vigore ne prevede oggi solo una a settimana da 10 minuti, ma la sua entrata in vigore risale al 2000. Si tratta di un intervento semplice ma con un grande impatto sulla vita delle persone, soprattutto nei momenti di difficoltà, quando una voce cara può fare tanto. La seconda è chiedere a tutti i protagonisti della campagna elettorale di impegnarsi per portare avanti quelle riforme necessarie e urgenti per dare un senso alla pena, renderla meno afflittiva, in linea con il dettato costituzionale e la tutela della dignità umana.