Dopo un 25 aprile segnato da molte polemiche, alcune delle quali francamente pretestuose (in parte sollevate da alcune componenti della sinistra) e altre del tutto autolesioniste e controproducenti (ci riferiamo specialmente a Giorgia Meloni), proviamo a fare una riflessione partendo dal quadro internazionale quale si presentò alla fine degli anni Trenta perché esso ebbe aspetti paradossali e anche contraddittori sui quali spesso la sinistra di origine comunista preferisce sorvolare.

Allora, nel ‘38-’39 si verificò un incredibile paradosso storico in seguito al quale dobbiamo a Hitler se nel 1941 Stalin e Urss si ricollocarono sul terreno dell’antinazismo e dell’antifascismo, in seguito alla operazione Barbarossa. Stalin aveva creduto fino in fondo al valore strategico del patto Ribentrop Molotov da lui concepito come una alleanza contro le liberaldemocrazie in Francia e in Inghilterra e per la spartizione della Polonia. Non a caso il Pcf in Francia allora era pacifista e i comunisti francesi praticavano l’obiezione di coscienza mentre il Partito comunista d’Italia espulse Terracini e Camilla Ravera che avevano contestato il patto. Poi, in seguito alla follia di Hitler, dopo il 1941 si realizzò la grande alleanza antifascista fra gli Usa, l’Inghilterra e l’Urss con le parallele resistenze nazionali.

Ciò non toglie che, sullo sfondo, accanto alle liberaldemocrazie in Gran Bretagna, negli Usa e in altri Paesi minori c’erano in campo due sanguinari totalitarismi, quello nazista con l’appendice italiana promossa da Mussolini facendo l’asse e quello espresso dal comunismo staliniano. Allora e dopo, però, quei due totalitarismi hanno esercitato un ruolo terribilmente negativo nelle aree e nelle nazioni da loro nominate. Di conseguenza Ignazio La Russa e i suoi amici non possono evitare di fare i conti con un dato incontrovertibile: non solo Mussolini ha realizzato in Italia una dura dittatura, per alcuni aspetti meno dura di quella esercitata dal nazismo in Germania e di quella altrettanto efferata esercitata da Stalin in Russia, ma egli ha stabilito anche una alleanza subalterna con Hitler che ha avuto due conseguenze: le leggi razziali del ‘38 e la corresponsabilità dell’Italia fascista allo sterminio degli ebrei realizzato dai nazisti e il nostro ingresso in una guerra dissennata alleata ai nazisti.

Tutto si tiene, non si possono estrapolare le leggi razziali dal regime che le ha espresse. Di conseguenza ovviamente in Italia la Resistenza non poteva non essere anti nazista e anti fascista. Sempre non a caso essa ha avuto la compartecipazione di un arco vastissimo di forze politiche, dai monarchici ai liberali, dai democristiani ai socialisti agli azionisti ai comunisti. Poi, in questo quadro, ci sono stati per l’Italia due fatti positivi: l’Italia è stata liberata dagli eserciti angloamericani coadiuvati dalla Resistenza e non dall’Armata Rossa.

Anche per questo è stato totalmente sconfitto chi nel Pci avrebbe voluto tramutare la guerra civile tra fascisti e antifascisti in un’altra guerra civile portata avanti dai comunisti per la conquista del potere in connessione con l’Urss. Era così forte questa tendenza nel Pci che nell’immediato essa produsse terribili esperienze come quella portata avanti dalla volante rossa in Lombardia e anche dopo il 28 aprile fino al ‘47-’48 lo stillicidio di assasinii perpetrati nei confronti di chi aveva partecipato alla Repubblica di Salò. Il filo di questa tendenza si è dipanato fino alla nascita delle Brigate Rosse.

Ciò detto, però, venendo ai giorni nostri, non si capisce il senso politico della tendenza presente nell’area della destra a mantenere aperta su questa tematica una tensione polemica tanto inquietante quanto autolesionista. Purtroppo il clima in Parlamento non è affatto buono. Solo in occasione del dibattito alla Camera sull’assassinio dei Fratelli Mattei si sono ascoltate parole di pace, accompagnate da serie riflessioni, ma abbiamo il dubbio che sia più merito personale di singoli parlamentari (da un lato Fabio Rampelli, dall’altro lato Roberto Morassut e per parte sua Roberto Giachetti) che non dei rispettivi partiti e schieramenti. Ma qui veniamo al nodo politico di fondo. A nostro avviso la permanente agitazione da parte di Ignazio La Russa e di altri esponenti di Fratelli d’Italia nuoce proprio al nocciolo duro della operazione posta in essere da Giorgia Meloni il cui senso insieme politico e culturale è quello di andare oltre lo stesso post fascismo, per approdare a quel conservatorismo liberale il cui punto di riferimento è Robert Scroton e il suo manifesto che è coerente anche con la solidarietà con l’Ucraina, con la collocazione dialettica nell’Unione Europea e con il rapporto stretto con la Nato.

Allora nei panni della Meloni seguiremmo il suggerimento che sul Foglio le ha dato Claudio Cerasa e cioè quello di rifarsi al discorso che Berlusconi fece il 25 Aprile del 2009 a Onna in Abruzzo: “un impegno che ci deve animare è quello di non dimenticare ciò che è accaduto qui e di ricordare gli orrori dei totalitarismi e della soppressione della libertà. A quei patrioti che si sono battuti per il riscatto e la rinascita dell’Italia deve andare sempre la nostra ammirazione, la nostra gratitudine, la nostra riconoscenza. I comunisti e i cattolici, i socialisti e i liberali, gli azionisti e i monarchici, di fronte a un dramma comune, scrissero, ciascuno per la loro parte, una grande pagina della nostra storia. Una pagina sulla quale si fonda la nostra Costituzione”.

Attraverso queste parole Giorgia Meloni, senza abiure rispetto ai valori di fondo di una posizione realmente ispirata al conservatorismo liberale ma anche senza la schizofrenia di chi non vuole superare le proprie nostalgie e deludere chi ancora le coltiva, potrebbe gestire politicamente anche il 25 aprile guardando al presente e al futuro, evitando ad ogni occasione di essere risucchiata dai richiami di un indifendibile passato. Paradossalmente in questo modo Giorgia Meloni darebbe un contributo anche all’opposizione di sinistra che così dovrebbe finalmente misurarsi in termini di riformismo o, all’opposto di radicalismo, con i problemi reali del Paese mentre invece, vive di rendita grazie alle escandescenze dei nostalgici agitando la retorica dell’antifascismo: e neanche questo è un bello spettacolo.