La tragedia alla periferie di Stornara
Due bimbi morti carbonizzati, la tragedia annunciata dovuta alla povertà
Accade sempre così, sotto Natale, mentre il clima di festa diventa un vaporoso diritto di fregarsene. Accade così tutti gli anni e ogni volta si sentono le stesse parole, la stessa contrizione di maniera che serve per buttare giù due righe, per essere “buoni” come richiede il momento, per non concedersi il lusso di farsi sporcare da lutti che sono terrificanti perché sono uno specchio, perché lì dentro ci siamo noi, quello che siamo diventati e quello che vogliamo fingere di non vedere.
Sì, è vero, ieri mattina alla periferia di Stornara sono morti due fratelli, lui aveva quattro anni e sua sorella ne aveva due, che si sono fatti cenere dentro una baracca completamente distrutta dalle fiamme ma lo spirito natalizio era già evaporato prima, farebbe schifo anche se oggi quei due bambini fossero vivi perché la stretta con il nodo in gola dovrebbe arrivare per questa gestione che divide i centrali dalle periferie del mondo, per questo sistema in cui essere poveri è una colpa da espiare in baraccopoli che sono sacchetti dell’umido lasciati ai bordi delle nostre città. Poi succede che qualcuno ci muore e allora con i guanti e il naso turato ci tocca metterci le mani dentro e prendere coscienza.
Erano le 9 di mattina e le agenzie di stampa lo chiamano “insediamento abusivo alla periferia della cittadina dei Cinque Reali Siti, sulla strada per Cerignola”. Anche questo è un inganno: quel villaggio è un relitto che non sta nelle regole, ma in cui vengono allevati in batteria le braccia e le gambe per sostenere illegalmente l’economia circostante. Se quell’insediamento è abusivo allora è abusiva tutta la socialità pulita e pettinata che lì intorno mangia su quella disperazione. O no? Arrivano i vigili del fuoco per spegnere l’incendio e, toh, trovano due bambini tra le macerie. I corpi carbonizzati che appaiono nelle foto contengono lo stesso disagio disperso delle altre baracche che non sono state toccate dalle fiamme: chiamare insediamento una discarica in cui i topi, gli avanzi, gli scarti e le persone hanno tutti lo stesso destino è un modo perfino vigliacco per disinfettare la realtà e le parole.
Ieri mattina il padre era uscito come tutte le mattine per andare a lavorare, gli uomini da queste parti valgono solo per i chili che riescono a sollevare e per le ore che riescono a lavorare senza farsi logorare dalla fatica. La madre si era allontanata per qualche minuto e al suo ritorno la baracca era avvolta dalle fiamme. Gli investigatori non escludono che si tratti di un sistema di riscaldamento di una stufa a legna. Nei giornali oggi leggerete che resta da chiarire se i bambini siano stati sorpresi dalle fiamme nel sonno o se le cause siano riconducibili alle esalazioni da monossido di carbonio. Si aspetta la perizia medico-legale, ma la perizia sociale è presto fatta guardandosi intorno. Poi, ovviamente sono partite le solite dichiarazioni di rito: il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia si dice «vicino alla tragedia che ha colpito la comunità di Stornara in provincia Foggia. Non possiamo che, ancora una volta, richiamare l’attenzione sulla sicurezza, anche delle fragili comunità, affinché un evento drammatico come questo non debba ripetersi. Mai più».
Anche il “mai più” dovrebbe essere vietato nella bocca dei politici che lo pronunciano sapendo benissimo che Stornara non sta mica solo in Puglia, che Stornara è una situazione che si ritrova in tutto il Paese e visto cosa accade nel Mediterraneo o in Bielorussia c’è addirittura da ringraziare di essere solo così poco disperati. è intervenuto anche Matteo Salvini: «Una tragedia inaccettabile, che dovrebbe imporre a tutti l’urgenza di liberare questi bimbi da illegalità, sfruttamento e povertà. Una preghiera per questi morti». Ma le preghiere per i morti non servono a niente se non sono accompagnate dai provvedimenti per i vivi. Le parole che invece vale la pena ascoltare sono quelle del sindaco di Stornara Rocco Calamita, uno che con quella disperazione pelosa ci ha a che fare tutti i giorni. E infatti senza troppi giri di parole scrive: «Né mi dà conforto o lenisce il dolore, il fatto che questa amministrazione avesse in più occasioni segnalato e portato a conoscenza a tutte le autorità competenti la situazione drammatica anche sotto il profilo sanitario del campo rom. Simili eventi non dovrebbero verificarsi, anche perché troppo spesso a pagarne le conseguenze sono gli unici realmente non colpevoli».
Sì, perché quello scempio di quel campo abusivo da quelle parti lo conoscono e lo conoscevano tutti ed è troppo facile oggi credere di avere il diritto di indossare il lutto. Ieri un cittadino raccontava di essere tremendamente arrabbiato «perché abbiamo questa situazione a un passo da noi e nessuno ha mai fatto niente o alzato la voce». In quel buco di immondizia e lamiere scaldate troppo poco e scaldate troppo male ci vivono almeno 1.000 persone (numeri ufficiali non ce ne sono) e non ci crede nemmeno il più sprovveduto che un migliaio di persone possano rimanere lì per caso senza che nessuno intorno si metta una mano sulla coscienza o nel peggiore delle ipotesi anche solo una mano tra le carte che decidono ciò che è legale e ciò che è giusto. «Spero che la politica nazionale affronti e risolva questo fenomeno tragico che ormai non ha più confini – scrive il sindaco Calamita – e interessa tanto la nostra comunità, quanto quella foggiana, pugliese, nazionale e internazionale. Vi è l’impegno di questo sindaco e della intera amministrazione comunale a fare – ha concluso il primo cittadino – quanto possibile per sostenere la famiglia colpita da questo evento». E andrebbe premiato il coraggio di un sindaco che ci avverte che no, che non stiamo scrivendo un pezzo su un tragico evento in una piccola comunità locale ma stiamo scrivendo di un tempo in cui si ritiene possibile rinchiudere i poveri e i disperati in recinti dove avviene la sospensione di qualsiasi diritto.
Del resto siamo il Paese in cui per i prossimi mesi fioccheranno i morti di freddo sotto i ponti delle più celebrate città d’Italia (sempre confidando che la stampa provi il senso di responsabilità di raccontarlo), siamo il Paese in cui non metteranno piede per non disturbare il nostro Natale i disperati che vengono accalappiati nel Mediterraneo dai lacci della cosiddetta Guardia costiera libica che paghiamo per sanificare la nostra coscienza. Continuiamo a essere il Paese in cui essere troppo poveri per possedere una casa viene considerata una sconfitta. Se non hai una casa allora significa che non sei all’altezza. Se non sei stato all’altezza allora ti mettiamo ai bordi dentro la baracca. Se nella tua baracca si muore di freddo e il fuoco ti brucia i figli ti promettiamo una medaglia di latta con su scritto “mai più”. Aspettando il prossimo giro.
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