Il dialogo tra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen c’è, ma non si vede. Ci sono state due telefonate, non una. E se non si deve né vedere, né sentire, significa che è nella fase delicata. In quel sottile interstizio che si apre tra il «tutto è possibile» del presidente Ecr, Nicola Procaccini, e il «difficile votarla» che era fino a poco fa la posizione ufficiale di FdI. Ieri, nelle pieghe della giornata dell’incontro tra il gruppo delle destre di governo europee, Ecr, e la presidente ricandidata Von der Leyen, la richiesta di sostegno è arrivata chiara e tonda. Sarà accolta diversamente da ciascuna delegazione nazionale. Il partito polacco Pis, che l’altra volta aveva votato per Ursula, adesso le volta le spalle. E potrebbe essere esattamente opposto l’atteggiamento di FdI, tentato di votare Ursula.

Il ‘sogno’ Meloni: da Gentiloni a Fitto

Un voto ragionato, per alcuni tratti sofferto, certamente non gratuito. La presidente del Consiglio italiano mira a ottenere per l’Italia una vicepresidenza e un incarico di rilievo nel prossimo esecutivo europeo, puntando al ruolo di commissario alla concorrenza. Questo incarico, tra i più ambiti e complessi da ottenere, consentirebbe all’Italia di gestire dossier delicati a partire da quello, urgente vista la stagione, dei balneari. Tra le altre opzioni ci sono deleghe per il mercato interno, il bilancio e gli affari economici, attualmente nelle mani di Paolo Gentiloni. Il nome più discusso per il ruolo di commissario è quello del ministro per gli Affari europei e il Pnrr, Raffaele Fitto, che lunedì aveva incontrato a Roma il vicepresidente esecutivo della Commissione UE, Valdis Dombrovskis, per discutere di Pnrr e politica di coesione. Ma c’è chi ritiene che la candidatura di Fitto possa essere solo una mossa tattica per nascondere le reali intenzioni del governo.

Le lodi di Lollo

Le decisioni finali devono ancora essere prese. La nomina del commissario dipenderà dall’incarico che verrà assegnato. Il metodo tradizionale in Europa prevede che il Presidente della Commissione scelga il portafoglio, e poi i governi propongano chi lo occuperà. Recentemente, le discussioni si sono concentrate sull’agricoltura, tema rilevante sia a Bruxelles che a Roma. Venerdì scorso, Ettore Prandini, presidente di Coldiretti con forte relazioni nel governo, ha cancellato tutti gli impegni della sua agenda per “incontri istituzionali”: una spia accesa sulle imminenti novità per il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. Non a caso l’interessato, proprio ieri, ha iniziato a dettagliare il suo giudizio sul primo mandato Von der Leyen, arrivando in parte a lodarlo. «Ci sono cinque anni di presidenza von der Leyen che io dividerei in due parti: una prima parte che non corrisponde dell’interesse delle produzioni», ha accennato il Ministro. «E’ cambiato questo tipo di scenario, grazie in particolare all’impegno italiano e della presidente Meloni. Rispetto al mondo dell’agricoltura ci sono state tante aperture su tanti ambiti. Ma non solo rispetto alle questioni legate all’agricoltura, ma anche alle politiche strategiche sull’immigrazione».

Ecr e la libertà di voto

Non sarà una laudatio, ma poco ci manca. Diplomazia, nell’ora della trattativa, o passo avanti del ministro verso la promozione europea? Chi sta dietro alle segrete cose sa che i giochi, al di là dei desiderata di questo o quello, sono per lo più conclusi. Fitto è l’unico nome in ballo da parte italiana. Continuerà a occuparsi di Pnrr, par di capire. Fitto si è mosso anche in proprio: ha avuto due incontri autonomi, negli uffici riservati, nei salotti dietro le quinte di Palazzo Berlaymont. Una attività cui corrisponde un buon riscontro: l’unico nome italiano che emerge è il suo. D’altronde Meloni può sbilanciarsi fino a un certo punto. Il consenso del gruppo Ecr, e quello in casa, ha la priorità su tutto. Anche se qualche crepa, tra le destre europee, si va aprendo. Ultimamente si sono espressi a favore di von der Leyen i tre deputati del partito civico del premier ceco Fiala e anche i nazionalisti della Nuova alleanza fiamminga (N-VA). Significa che le ultime mosse di von der Leyen vanno nella direzione giusta. Entrambi i partiti fanno parte di Ecr, gruppo che visti i movimenti in corso ha dato agli europarlamentari “libertà di voto”.

Non a caso. Fino a qualche giorno fa 6 deputati francesi dei Républicains e i deputati del partito socialdemocratico sloveno (Ppe) si collocavano però sul fronte opposto. I sei liberali irlandesi non voteranno von der Leyen a causa del sostegno a Israele nella guerra in corso a Gaza. Toverà però consensi tra i Verdi che in questi giorni hanno negoziato parti ritenute importanti del documento programmatico von der Leyen e aspirano a partecipare ai processi decisionali Ue arrivando così al paradosso che cinque anni fa votarono contro l’ex ministra tedesca, che lancia in resta apriva la fase radicale del Green Deal, e ora la sosterrebbero (almeno una parte del gruppo) proprio quando è in corso una frenata targata sempre von der Leyen. Il vantaggio del gruppo dei Verdi è che tendenzialmente sono un gruppo compatto.
Intanto una prima votazione c’è stata, ed ha visto trionfare un altro bis, quello della malterse Roberta Metsola che con 562 voti torna a capo dell’Europarlamento. Una riserva delle istituzioni importante: se Ursula non dovesse farcela, lei sarebbe pronta a spostare il suo consenso sulla posizione apicale più alta della Commissione. In quel caso, con pieno consenso bipartisan italiano.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.