Sulla gestione dei flussi migratori la partita è difficilissima. Da una parte l’Europa deve saper mostrare solidarietà provando che i suoi strumenti siano in grado di dare un supporto concreto ai Paesi di frontiera, Italia compresa. Dall’altra parte, la solidarietà internazionale corre parallela agli interessi nazionali, creando inevitabili punti interrogativi.

L’esempio di tutto questo è il fragile ma fondamentale rapporto tra Italia e Francia. Il ministro dell’Interno transalpino Gerald Darmanin, ha annunciato il suo arrivo nel Belpaese per sostenere Roma nel fermare i flussi illegali alle frontiere esterne dell’Europa. Allo stesso tempo, però, il ministro ha chiarito in un’intervista che Parigi non accoglierà i migranti che affollano Lampedusa e che stanno causando una crisi su cui l’esecutivo italiano è chiamato a dare risposte.

La Francia aiuterà l’Italia a controllare la sua frontiera per impedire alla gente di arrivare”, ha affermato Darmanin, che ha anche ammesso che “sarebbe un errore ritenere che i migranti, dal momento che arrivano in Europa, devono essere subito redistribuiti in tutta Europa”. Le parole confermano la difficoltà di trovare un equilibrio tra interessi nazionali, interessi politici, interessi europei e gli interessi delle persone che scelgono la via del Mediterraneo.

E di fronte a questa miscela di dubbi e di timori, si pone l’altro grande tema: la nascita di una vera agenda europea nel continente da cui partono i flussi migratori, e cioè l’Africa. In particolare, subsahariana e settentrionale. Il dossier tunisino e quello libico testimoniano il complicato sistema di interessi contrapposti condito, spesso, da scarsa lungimiranza. A giugno, in pochi giorni arrivarono a Tunisi due distinte delegazioni europee per incontrare il presidente Kais Saied. Una con la premier Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il primo ministro olandese Mark Rutte, l’altra con Darmanin e l’omologa tedesca Nancy Faeser.

Il memorandum d’intesa siglato dalla premier italiana insieme a von der Leyen e Rutte non vede ancora lo sblocco dei milioni che Tunisi dovrebbe usare per il contrasto all’immigrazione irregolare, e qualcuno da Bruxelles inizia a storcere il naso per il (presunto) mancato coinvolgimento del Consiglio europeo – smentito dalla Commissione – e su come l’Ue possa garantire il rispetto dei diritti umani da parte delle autorità tunisine. Per quanto riguarda la Libia, che oltre al caos bellico e all’anarchia politica soffre anche la rovina causata dalle alluvioni, permangono dubbi sulla possibilità che un’eventuale agenda Ue possa prevalere in un ginepraio che vede coinvolte sempre più potenze esterne. Finiti i tempi dell’incandescente duello tra Italia e Francia, adesso il Paese nordafricano appare sfuggito di mano.

La Turchia è riuscita a consolidarsi nella parte occidentale, la Russia, nonostante l’isolamento e la guerra in Ucraina, vuole ribadire il proprio impegno nella parte orientale al punto che si vocifera di negoziati per usare i porti della Cirenaica come scali della flotta.

Gli Stati Uniti tentano di limitare l’influenza di Mosca, ma questo impegno di Washington potrebbe non bastare. A sud, oltre i confini porosi della Libia con il Sahel, la situazione per l’Europa appare ancora più inquietante. La Francia, ex potenza leader dell’Ue nella regione, è in completa ritirata. La sua apertura a un coinvolgimento diretto degli alleati europei appare a questo punto più che tardiva e dal Mali al Niger, dalla Repubblica centrafricana al Burkina Faso, la Françafrique sembra ormai appartenere a un passato distante in cui anche Bruxelles ora paga pegno.

I progetti europei per l’Africa, sia a livello Ue che nazionale, come il ben noto Piano Mattei, rischiano di essere fuori tempo massimo e aleatori, ostacolati anche dalle diverse visioni interne all’Europa. E le elezioni alle porte lasciano presagire che sulla partita strategica africana planino inevitabili interessi di partito.