Duello tra Meloni e Schlein: chi ha vinto la prima sfida al question time di Montecitorio

No, non sono io. Siete voi che “calunniate l’Italia” sulle omissioni di soccorso ai naufraghi. No, non è colpa mia, è che c’è la mafia è degli scafisti. No, è chi ha governato fino ad ora che ha reso più poveri i lavoratori italiani. Non è colpa sua e del suo governo “pragmatico”. La colpa è dell’opposizione fradicia di “ideologia”. Unica variante lessicale a quel “propaganda” usata come scudo alle domande inevase in questi quindici giorni tragici di bambini morti in mezzo al mare. Non è colpa sua, è un’ingiustizia chiederle conto di quel che non va. Giorgia Meloni quando fa Calimero invece di pigolare strilla.

Ha buon gioco Elly Schlein nell’affondo: “Le ricordo che lei al governo e non è più tempo di prendersela con gli altri. È in carica da soli cinque mesi ma state già andando in direzione sbagliata”. La premier al suo primo question prime alla Camera legge il verbale stile Piantedosi quando non risponde alle domande di Riccardo Magi (+Europa) sul mancato intervento italiano lo scorso fine settimana in zona Sar libica, nozione tecnica che mostra di non conoscere. Si nasconde dietro la Guardia costiera. Dice: “Per fini politici si finisce per mettere in discussione l’onore e l’operato di chi ogni giorno rischia la propria vita per salvarne altre”. ”La nostra coscienza è a posto, spero che chi attacca il governo ma non dice una parola sulle responsabilità degli scafisti possa dire lo stesso”. Sul Mes traccheggia, divaga. Mentre il renziano Marattin parla lei si alliscia i capelli, si morde le labbra.

Il primo confronto con Elly Schlein l’ha perso. Abbiamo perso il contro di quante volte la presidente del Consiglio ha detto che lei è pragmatica e l’opposizione ideologica. Regge appena la parte della stretta di mano finale prima di correre rapida via lungo il banco della presidenza. Per la segretaria del Pd un ottimo debutto. Ma è sola, si vede. La destra le ha urlato addosso appena ha pronunciato le parole: “diritti dei figli e delle figlie delle famiglie omogenitoriali”. Boati, schiamazzi. Nessuno di quell’opposizione che lei vorrebbe unire si è alzato a fare muro in suo soccorso. È stata applaudita dai suoi, da qualche deputato di sinistra qua e là. Dai Cinque stelle no. Inutile chiedere cosa ne pensa ad Andrea Orlando, lui che sull’alleanza possibile con i Cinque stelle racconta meraviglie. “Non l’hanno applaudita? Ah no, non me ne sono accorto”. Ma come non se ne è accorto, le stanno seduti accanto, è un emiciclo. “No, no non commento questa cosa no”. E fila via a passetti svelti sul tappeto rosso del Transatlantico.

Torniamo in Aula. Quando la Schlein, tesa, chiede: “Quali siano le ragioni della contrarietà alla sperimentazione del salario minimo legale tenuto conto della mancata adozione di misure alternative e di interventi volti a migliorare realmente le condizioni delle lavoratrici e dei giovani lavoratori”. Giorgia Meloni ribadisce in sostanza le ragioni per cui l’ha già definito “specchietto per le allodole”. Elly Schlein sul salario minimo spera di far emergere una coesione possibile nel suo partito e con le le opposizioni a lei più vicine. Non lo può fare sulla guerra, i Cinque stelle e la Sinistra non la seguirebbero. Non lo può fare sui migranti, sui quali può contare su Magi e su Fratoianni-Bonelli ma assai poco sui Cinque stelle che ancora non hanno capito come liberarsi da quella foto di Giuseppe Conte uomo sandwich dei decreti sicurezza di Salvini durante il governo Conte1.

Marattin affonda sul Mes, il fondo europeo Salva Stati che l’Italia non ha ancora ratificato, unico Paese europeo a non averlo fatto. Marattin chiede: “quando intende presentare in Consiglio dei ministri il disegno di legge di ratifica del trattato istitutivo del Mes?” “Il Mes è qualcosa che nasce per aiutare uno Stato quando perde l’accesso ai mercati, cioè quando non trova più nessuno che gli presta i soldi, e con la riforma aiuterebbe allo stesso modo una banca – come è accaduto, l’altro giorno, in California – che non trova più nessuno che gli presta i soldi. Allora, invece di lasciarla morire, arriva qualcuno ad aiutarla.” Meloni ascolta a braccia incrociate. Poi replica che no, per ora non se ne parla proprio di ratificare il trattato.

Non replica invece mai sul merito a Magi che le risponde: “Lei sa benissimo, meglio di me, e dispiace che chi cura le risposte del Presidente del Consiglio nel question time ometta di dirlo e di scriverlo, che la Sar non è un’indicazione di competenza e non è un’indicazione di sovranità. È un’indicazione operativa! Nel momento in cui le autorità libiche dicono di non essere in grado di svolgere quell’operatività, allora la responsabilità ricade, come in questo caso hanno chiesto gli stessi libici, sulle autorità italiane. Questo è il punto! Non voglio togliere responsabilità ai Governi italiani precedenti, è ora di finirla con la farsa della Sar libica. I libici non sono in grado di consentire un coordinamento di operazioni di salvataggio in linea con gli standard delle convenzioni internazionali. Quello che noi dobbiamo fare è salvare le vite, e la domanda non è quella che lei, Presidente, in un ribaltamento dei ruoli davvero assurdo, pone a noi e pone ai giornalisti, dicendo: pensate davvero che le autorità italiane non abbiano voluto salvare una vita? No, non è questa la domanda. La domanda è: è stato fatto di tutto e possiamo fare di meglio per salvare le vite?”.

La risposta della Meloni arriva dopo, quando ha Lupi della sua maggioranza a farle da spalla. Lì la presidente del Consiglio dirà l’unica cosa chiara e netta di tutto il pomeriggio: non esiste il diritto a migrare. Concetto già scolpito nel decreto varato a Cutro che ieri mattina è arrivato al Senato. La premier non ha fatto cenno nelle sue risposte ieri alla protezione speciale, oggetto di trattativa con Salvini. Il Colle chiede di mantenerla. La Lega la la vuole cancellare. Può tollerare di considerare rifugiato chi scappa da guerre. “Ma tutto il resto un di più e può essere cancellato” ha detto pari pari Nicola Molteni, il leghista sottosegretario agli Interni che Salvini ha voluto a vigilare su quello che pensa comunque come il suo ministero. Il decreto arrivato in Senato già ha tagliato di netto la possibilità di un richiedente asilo di restare in Italia dopo la valutazione “dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale, della durata del suo soggiorno sul territorio nazionale”. Molteni vuol togliere anche gli altri motivi che restano a rendere possibile la protezione speciale, come la possibile persecuzione in patria per le scelte sessuali dell’immigrato che richiede protezione. È questo “il di più” di cui parla Molteni. Mandato a fare l’uomo di mani per conto di Salvini che ha già messo le mani avanti di fronte al tentativo di persuasione quirinalizia. Alcune parti “dei decreti sicurezza sono già state riprese nel decreto presentato Cutro e altre lo potranno essere durante il lavoro parlamentare”.

Per Giorgia Meloni quella di ieri a Montecitorio era la prima uscita allo scoperto dopo la giornata tutta sbagliata di Cutro. Ed era l’uscita prima della trasferta (fino all’ultimo momento in bilico) in casa Cgil dove lei vorrebbe andare per mostrare che non è proprio un coniglio, che non teme di prendere fischi. Davanti ai partenti dei bambini morti nel naufragio in Calabria non ha avuto il coraggio di presentarsi ma i mille delegati cigiellini no, non li teme. Venti minuto senza contraddittorio. Vedremo se è vero. Vedremo se andrà e se davvero un pezzo di Cgil, quella che fa riferimento al documento antiLandini, si alzerà e abbandonerà la sala. Ed era la prima uscita di una settimana pesantina, con tutto il governo appeso al rigassificatore dato in arrivo a Piombino per domenica. Cosa fa la Meloni, non va a ricevere la nave col rigassificatore su cui il governo ha messo la faccia? Il sindaco, perfido, l’ha invitata. È del suo stesso partito ma il rigassificatore non lo vuole. Chissà la premier si fida quando il sindaco le assicura che contestazioni no, non ce ne saranno.