Aveva 108 anni
È morto Boris Pahor, addio al gigante della letteratura del Novecento che narrò l’orrore dei lager
È morto lo scrittore e intellettuale Boris Pahor. Gigante della letteratura slovena e non solo, aveva scritto una trentina di titoli tra saggi e romanzi, è stato scrittore degli ultimi, difensore della libertà dell’individuo, testimone dei più grandi stravolgimenti della storia del Novecento. Aveva 108 anni e fino all’ultimo è rimasto lucido e combattivo. È morto a Trieste intorno alle quattro di questa mattina come confermato da Adnkronos. Disse in occasione di uno dei suoi ultimi compleanni: “Penso che la storia possa tornare”.
Pahor era nato a Trieste il 26 agosto 1913 sotto il regno austro-ungarico di Francesco Giuseppe. La città all’epoca ospitava la più numerosa comunità slovena in assoluto. Era sopravvissuto all’influenza “spagnola” e a sette anni aveva assistito al rogo del Narodni Dom triestino, sede delle associazioni slovene data alle fiamme dagli squadristi del gerarca Francesco Giunta. Aveva fatto risalire la sua formazione di uomo proprio a quella brutalità.
Lui e la sua famiglia furono discriminati per la lingua madre come succedeva alle popolazioni croata e slovena: il padre impiegato pubblico rifiutò il trasferimento in Sicilia e perse il posto di lavoro. Il giovane Boris studiò al liceo classico nel seminario cattolico di Capodistria, si laureò in Lettere all’Università e si dedicò all’insegnamento della letteratura italiana. Da subito divenne un punto di riferimento. Servì da militare in Libia e in Italia fece da interprete agli ufficiali jugoslavi prigionieri. Dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 tornò a Trieste e aderì alla Resistenza pagando con l’arresto e la deportazione.
Venne rinchiuso in diversi lager tra Francia e Germania. Venne addetto al compito di infermiere. Di quei giorni avrebbe scritto nel suo capolavoro Necropoli, autobiografia pubblicata nel 1967. Ci vollero trent’anni per la traduzione in italiano. Soltanto nel 2008 venne pubblicato da un grande editore come Fazi con la prefazione di Claudio Magris. Per lungo tempo solo la casa editrice Nicolodi di Rovereto pubblicò le sue opere.
Pahor per tanto tempo era stato critico anche verso il regime comunista di Tito. Lavorò con Alojz Rebula a un’intervista al poeta sloveno Edvard Kocbek sulle atrocità compiute in Slovenia dai partigiani titini dopo la guerra che suscitò la rabbia delle autorità di Belgrado. Soltanto dopo la nascita della Slovenia indipendente 1992 a Pahor venne conferito il premio Prešeren, il più importante riconoscimento culturale nel Paese. Altri suoi titoli rappresentativi della sua produzione furono Qui è proibito parlare, Il rogo nel porto, La villa sul lago, La città nel golfo.
Criticò anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che nel 2007 condannò i crimini dei partigiani jugoslavi senza citare quelli dell’Italia fascista sulle popolazioni slave. Rifiutò nel 2010 un riconoscimento del comune di Trieste che nelle motivazioni citava le atrocità naziste ma non quelle fasciste. Il 30 luglio 2020 gli venne attribuita la doppia onorificenza, italiana e slovena, in occasione dell’incontro tra i capi di Stato dei due Paesi per la restituzione alla minoranza slava del Narodni Dom. Si era sempre detto convinto europeista. Definì l’Unione “preziosa”.
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