Il Sudafrica e il mondo intero piange la scomparsa di un’icona della lotta contro l’apartheid. È morto all’età di 90anni l’arcivescovo anglicano del Sudafrica Desmond Tutu, che vinse il premio Nobel per la Pace nel 1984 per la sua opposizione non violenta al governo razzista della minoranza bianca in Sudafrica.

Ad annunciarlo in una nota è il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, esprimendo “una profonda tristezza a nome di tutti i sudafricani”. Ramaphosa lo ha descritto come “un patriota senza eguali; un leader di principio e pragmatismo che ha dato significato all’intuizione biblica che la fede senza le opere è morta”.

“Il decesso dell’arcivescovo emerito Desmond Tutu è un altro capitolo di lutto nell’addio della nostra nazione a una generazione di sudafricani eccezionali che ci hanno lasciato in eredità un Sudafrica liberato”, ha aggiunto il leader del Sudafrica.

Il prelato, soprannominato ‘the Arch’, era malato da mesi. Non parlava più in pubblico, ma sorrideva ancora alle telecamere che lo seguivano nei suoi spostamenti, come quando è andato a ricevere il vaccino anti-Covid in un ospedale del Paese.

La morte di Tutu arriva poche settimane dopo quella dell’ultimo presidente sudafricano dell’era dell’apartheid, FW de Clerk, morto all’età di 85 anni.

L’impegno nella lotta contro il razzismo

Il prelato dalla voce schietta usò il suo pulpito come primo vescovo nero di Johannesburg e in seguito arcivescovo di Città del Capo, nonché frequenti manifestazioni, per galvanizzare l’opinione pubblica contro l’iniquità razziale sia in patria che a livello globale.

Con la fine della triste parentesi dell’apartheid, dopo che Nelson Mandela era stato eletto presidente del nuovo Sudafrica, Tutu ideò e presiedette la Truth and Reconciliation Commission, creata nel 1995 con il compito di indagare sulla violazione dei diritti umani.

La commissione, impegnata in un doloroso e drammatico processo di pacificazione fra le due parti della società sudafricana, mise in luce la verità sulle atrocità commesse durante i decenni di repressione da parte dei bianchi. Il perdono fu accordato a chi, fra i responsabili di quelle atrocità commesse avesse pienamente confessato: una forma di riparazione morale anche nei confronti dei familiari delle vittime. L’amnistia fu concessa a 849 persone e negata a 5392.

In una delle tante audizioni seguite in tv da tantissimi sudafricani, scoppiò in lacrime dopo aver sentito la testimonianza di un ex detenuto politico subite quest’uomo da parte della polizia che lo aveva appeso per i piedi con la testa chiusa in un sacco.

Alcune prese di posizione dell’arcivescovo furono contestate dai suoi superiori, come per esempio quella in difesa degli omosessuali, quella per il diritto all’aborto o quella più recente sul diritto al suicidio assistito.

Il percorso religioso

Nato il 7 ottobre 1931 a Klerksdorp, una città a ovest di Johannesburg, Tutu è diventato insegnante prima di entrare al St. Peter’s Theological College di Rosetenville nel 1958 per la formazione sacerdotale. Ordinato sacerdote nel 1961, sei anni dopo diventa cappellano dell’Università di Fort Hare. Poi il suo impegno tra Sudafrica e Regno Unito. Si trasferisce prima nel minuscolo regno dell’Africa meridionale del Lesotho e poi di nuovo in Gran Bretagna. Ritorna nuovamente a Lesotho nel 1975, dove diventa vescovo e presidente del South African Council of Churches. Nel 1986 è il primo arcivescovo anglicano nero di Cape Town.

Tutu fu arrestato nel 1980 per aver preso parte a una protesta e in seguito gli fu confiscato il passaporto per la prima volta. Ha recuperato il documento per effettuare viaggi negli Stati Uniti e in Europa, dove ha tenuto colloqui con il segretario generale delle Nazioni Unite, il Papa e altri leader della chiesa.

Autore di numerosi scritti con cui ha divulgato la sua idea di lotta non violenta contro il razzismo, Tutu avrebbe coniato la frase Rainbow Nation, nazione arcobaleno, per descrivere il suo paese.

Redazione

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