Con lui scompare il miglior giornalista italiano
È morto Eugenio Scalfari: tra lui e Travaglio la stessa differenza che c’è tra Pelè e il calciobalilla
È morto Eugenio Scalfari, è stato il più grande giornalista italiano del dopoguerra. Prima non so dire, io non c’ero. Sapeva fare tutto. È stato un grandissimo direttore, sapeva fare l’inviato, sapeva fare il commentatore, sapeva fare il polemista, ne sapeva di economia, sapeva fare i reportage. Era quasi unico. Io credo che senz’altro fosse il più grande.
Ci sono altri nomi che gli si possono accostare, quello di Montanelli, di Luigi Pintor e ci metto anche il nome di colui che era il mio direttore dell’epoca, meno famoso forse, Alfredo Reichlin. Un gigante sottovalutato. Però Scalfari era il numero uno, un giornale come Repubblica non l’aveva mai immaginato nessuno. Fu una bomba nel giornalismo italiano che era vecchio, oscillava fra i rimasugli del fascismo e i passi sgambettanti dei democristiani. Era paludato, non aveva verve, non aveva grinta, non creava opinione pubblica. Poi arrivò questa bomba atomica che fu Repubblica per meriti di Scalfari e del suo gruppo perché aveva con sé dei giornalisti grandiosi. Giampaolo Pansa ha riformato completamente il giornalismo politico, Bocca i reportage, poi c’era Biagi, Cavallari, tantissimi. Riuscirono a prendere un giornalismo morto e a trasformarlo per qualche anno, forse, nel miglior giornalismo europeo.
Scalfari ha cambiato spesso opinione anche se lui è stato essenzialmente Repubblica. Certo prima ha fatto tante cose: ha fatto Il Mondo di Panunzio, ha lavorato in Bankitalia, ha fatto L’Espresso con Arrigo Benedetti che era un grandissimo settimanale cambiando il panorama dei periodici italiani ma Repubblica è un’altra cosa perché è il giornale che più di ogni altro prese in mano e guidò l’opinione pubblica italiana.
Vedete, oggi i giornali inseguono il senso comune, allora i giornali guidavano l’opinione pubblica e Scalfari in questo fece davvero una rivoluzione. Riuscì a unificare pezzi di borghesia e pezzi di classe operaia, riuscì a dare una prospettiva di idee a un ceto intellettuale molto forte allora però un po’ sbandato.
Riuscì a fare Repubblica in un periodo difficilissimo, iniziava il terrorismo, la lotta armata, c’era una forte inflazione, la classe operaia che avanzava, la borghesia che si stava sgretolando dopo aver preso dei ceffoni così forti nel ’68 che ancora non si rimetteva in piedi. Li riuscì a ricucire, si certo, con dei grandi ondeggiamenti politici che riuscì a far diventare una sua forza.
Quando leggevi Repubblica sapevi che non stavi leggendo il giornale del Pc, della Dc, del Psi o di Confindustria, delle grandi corporation. Stavi leggendo il giornale di Eugenio Scalfari. Il suo strumento fondamentale era la cronaca. Repubblica fu un giornale fantastico perché faceva cronaca. Le note politiche di Pansa erano cronaca politica come nessuno aveva mai fatto, fu raccontata la politica fino alle cravatte, fino alle battutine, fino agli scherzi come noi non la conoscevamo.
La mia generazione ha imparato tutto da loro, in particolare da Pansa e da Scalfari che però non ho mai amato perché io stavo all’Unita e l’Unità aveva una posizione molto conflittuale. Scalfari soprattutto all’inizio era anti-comunista.
Mi offrirono anche due volte di andare a lavorare a Repubblica e non ci andai, quindi non ho nessun debito di riconoscenza nei suoi confronti anzi, l’ho sempre osteggiato. Però ragazzi, quello era giornalismo vero. Se oggi penso che non c’è più Scalfari non c’è più quel giornalismo li, leggiamo Il Fatto Quotidiano e La Verità. Fra Scalfari e queste cose qui c’è la stessa differenza che c’era tra Pelè e il calciobalilla.
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