L'addio al protagonista del Partito Radicale
È morto Gianfranco Spadaccia, l’altro ‘pezzo’ di Pannella

Se in Italia con gli anni Settanta ha potuto aprirsi una stagione di affermazione dei diritti civili, molto lo si deve a Gianfranco Spadaccia, scomparso a Roma a 87 anni, uno dei massimi protagonisti della storia del Partito Radicale. Militante, al liceo, per gli ideali del socialismo democratico, all’università, Spadaccia divenne presto un dirigente dell’Unione goliardica italiana, l’organizzazione degli studenti laici, e quindi insieme ad altri di loro, fra cui già allora Marco Pannella, contribuì a fondare nel 1955 il Partito Radicale, guidato allora da personalità come Mario Pannunzio, Leo Valiani, Ernesto Rossi. Cominciò lì un sodalizio destinato a durare tutta la vita.
Fece parte del gruppo di giovani che, alla fine degli anni Cinquanta formarono la corrente della sinistra radicale: insieme a Pannella e a lui, Angiolo Bandinelli, Mauro Mellini, i fratelli Rendi, Massimo Teodori, Franco Roccella e alcuni altri. Volevano che il Partito Radicale si facesse fautore non del centro-sinistra ma di un’alternativa laica e di sinistra alla Democrazia Cristiana. Fu quel gruppo che, dissoltosi di fatto il PR nel 1962, ne raccolse il nome e il simbolo. Di quel minuscolo partito – poche decine di persone per diversi anni – Spadaccia, diventato nel frattempo giornalista, fu da subito uno dei principali animatori. Nel 1967, al congresso di ricostituzione, ne fu eletto segretario. Da allora, per decenni, fu accanto a Pannella il maggiore dirigente di quella piccola forza politica che seppe lanciare battaglie come quelle per il divorzio, per l’aborto, per l’obiezione di coscienza, per la riforma del diritto di famiglia, creando di volta in volta su ognuna schieramenti capaci di portarle alla vittoria. E che, insieme, introduceva nella lotta politica metodi e valori della disobbedienza civile e della nonviolenza. Ne fu un esempio fra i più significativi e di vaste conseguenze il gesto di Spadaccia che nel 1975 si assunse, in quanto segretario del partito, la responsabilità politica e giuridica degli aborti praticati dal gruppo di Adele Faccio in pubblica disobbedienza alla legge che lo vietava. Fu arrestato, e il clamore della notizia diede avvio al moto di opinione che portò ad abolire il divieto di aborto.
Fu con la segreteria di Spadaccia che per la prima volta, nel 1976, i radicali riuscirono a eleggere una pattuglia di parlamentari. Lui entrò poi in parlamento nel 1979, in Senato, nel 1983 alla Camera e di nuovo in Senato nel 1987. Ricostruire la biografia di Spadaccia vorrebbe dire scrivere la storia del Partito Radicale: quel che di recente ha fatto lo stesso Spadaccia con la sua ultima fatica, il libro Il Partito Radicale. Sessant’anni di lotte fra memoria e storia, Sellerio, che è appunto insieme storia e autobiografia. Non è possibile ripercorrere qui quella lunga vicenda. Ma almeno va ricordato un carattere essenziale della sua presenza: il ruolo, che lui seppe assumere come nessun altro, di maestro e formatore dei giovani e meno giovani che via via si avvicinavano al partito. Fu lui, fra gli altri, ad accogliere e, si può dire, a “educare” e a far crescere come dirigenti anche le stesse Emma Bonino e Adelaide Aglietta; ma fu così anche per tanti e tanti altri.
Per parte mia non posso non ricordare con riconoscenza profonda il modo in cui Gianfranco mi introdusse, mi guidò, mi sostenne nell’apprendere il difficile mestiere del parlamentare, quando ebbi la ventura di trovarmi accanto a lui al Senato nella legislatura iniziata nel 1987. (“Mestiere” che Spadaccia sapeva praticare come pochi, acquistandosi in Senato un prestigio straordinario. Ben ricordo: quando prendeva la parola lui, che pure era il presidente di un piccolo gruppo di quattro senatori, in aula non volava una mosca, come quando a parlare erano i leader maggiori; e di lui e con lui parlavano con attenzione e rispetto i parlamentari e ministri di maggior prestigio intellettuale e politico, come Andreatta ed Amato. Ma più ampiamente, in tanta parte egli seppe assumere il ruolo di “educatore” e in questo senso di guida e di coordinatore un po’ di tutto il partito, anche quando non ne era lui il segretario, accanto alla leadership politica di Pannella.
Di Pannella, così, fu lungo i decenni il principale collaboratore: tale che, credo si possa ben dirlo, senza di lui Pannella non avrebbe potuto condurre il partito e le sue battaglie come seppe fare. Ma questo ruolo Spadaccia lo seppe sempre esercitare a partire dalla forza e dalla consapevolezza della sua autonomia intellettuale e morale. Autonomia della quale è stata testimonianza eloquente il modo in cui ha saputo rimanere sempre, in modo direi straordinario, fedele alla storia che era la sua. Entrò in contrasto su alcuni temi con Pannella all’inizio degli anni Novanta: invece di scegliere, come tanti altri, di prendere strade diverse, decise di ritirarsi dall’attività politica. Più d’una volta, com’era naturale con un protagonista del suo livello, gli furono offerte, da altri, possibilità di rientro in politica in posizioni di prestigio. Ma le fece sempre cadere. A chi, come anche io ho fatto qualche volta, lo spingeva a ritrovare un suo ruolo, rispondeva: “Ho fatto tutta la vita politica con Pannella, ora la farei contro di lui: non posso e non voglio”.
Quando poi le ragioni di dissenso sono state superate, ha scelto di rientrare, da militante, tra i radicali senza mai cercare ruoli di direzione. E infine, da radicale, per difendere e sviluppare le ragioni e le speranze di una vita di radicale, ha dato mano a creare l’esperienza di Più Europa insieme a Emma Bonino, diventandone il primo presidente. A lui, un addio grato e commosso, con la consapevolezza triste di rimanere più soli.
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