Il regista, simbolo mondiale della settima arte, aveva 91 anni
È morto Jean-Luc Godard, addio al padre della Nouvelle Vague e maestro del cinema francese
Addio al cineasta dalle mille vite artistiche, al padre della Nouvelle Vague, al maestro del nuovo cinema francese, all’icona. Jean-Luc Godard è morto a 91 anni, è stato uno dei personaggi più influenti del cinema mondiale, tra le menti più innovative e sperimentali della settima arte. La notizia è stata data dal quotidiano francese Libération. E in pochi minuti ha fatto il giro del mondo. Godard – da sceneggiatore, montatore e critico cinematografico – è stato nel cinema per sessant’anni.
Era il 1960 quando con i protagonisti selvaggi e scapigliati Jean Seberg e Jean-Paul Belmondo girò Fino all’ultimo respiro, ancora oggi considerato il manifesto del filone della Nouvelle Vague. Godard, con altri registi come François Truffaut e Jaques Rivette, contribuì ad alimentare quel movimento che introdusse nuove regole, soluzioni innovative, strutture narrative mai tentate, novità stilistiche.
Godard era nato a Parigi nel 1930 da una ricca famiglia protestante di origine svizzera. Dopo il liceo si era laureato in etnologia alla Sorbona, dove aveva conosciuto i futuri registi François Truffaut, Eric Rohmer, Jaques Rivette. Prima di cominciare con il cinema firmava articoli sulla Gazette du Cinéma (che aveva fondato con Rivette) e sui Cahiers du cinéma come Hans Lucas. La prima opera fu un documentario, Opération béton, del 1954, seguito da alcuni corti. Fu l’amico e collega, altro maestro della Nouvelle Vague, François Truffaut a offrirgli il soggetto di Fino all’ultimo respiro. Un film a budget ridotto, con molte scene girate in strada, citazioni del poliziesco americano e un montaggio “sconnesso”. Il film venne premiato con l’Orso d’Argento al Festival di Berlino.
Con Michel Piccoli e Brigitte Bardot girò Il disprezzo, tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia. Diresse anche uno degli episodi di Ro.Go.Pa.G., insieme a Roberto Rossellini, Pier Paolo Pasolini e Ugo Gregoretti. Con la prima moglie, l’attrice Anna Karina, nel 1964 fondò la casa di produzione Anouchka Films. Altri titoli simboli furono Il bandito delle undici, La cinese (sposò l’attrice protagonista Anne Wiazemsky), Week end, un uomo e una donna dal sabato alla domenica, La gaia scienza, One plus One. Alla fine degli anni Sessanta la svolta politica: il regista cominciò a interessarsi a quello che succedeva per le strade. Era il 1969 quando fondò il Gruppo Dziga Vertov, un collettivo di registi, studenti e intellettuali di estrema sinistra.
All’inizio degli anni Ottanta la consapevolezza che “il cinema che abbiamo conosciuto, quello proiettato in sala, sta sparendo. Adesso, con la televisione, è diventato qualcos’altro”. Quelle innovazioni non gli impedirono di sperimentare. Quattro le puntate delle sue Histoire(s) du cinéma. A fine anni Novanta il periodo più ambizioso e anche discusso della sua produzione. Godard ha continuato a lavorare fino quasi alla fine: nel 2011 ha ricevuto il Premio Oscar alla carriera, nel 2014 ha vinto il premio della giuria a Cannes per Adieu au langage, nel 2018 Palma d’oro speciale al Festival di Cannes per Le Livre d’image.
Secondo Libération Godard sarebbe ricorso al suicidio assistito in Svizzera “riuscendo finalmente a portare a termine le sue convinzioni”. Un amico di famiglia a raccontato al quotidiano che il cineasta “non era malato, era semplicemente esausto” e “aveva quindi deciso di farla finita, era una sua decisione ed era importante che la rendesse nota”. Già in passato il regista si era espresso a favore del suicidio assistito. Godard non è morto a Parigi, come era emerso in un primo momento, ma si è “spento serenamente nella sua casa circondato dai suoi cari” a Rolle, sulle rive del lago di Ginevra, in Svizzera.
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