Il ricordo/1
E’ morto Mauro Mellini, un uomo giusto a cui dobbiamo molto

Volete capire di che pasta era fatto Mauro Mellini? Marco Pannella, per anni compagno e sodale nel Partito Radicale (che ha contribuito a fondare), periodicamente si consuma in lunghi, faticosi, scioperi della fame. Lui, specializzato in penne all’arrabbiata innaffiate da abbondanti razioni di aglio, inaugura le “cene anticlericali”. In una di queste “cene”, quella del 23 dicembre 1970 al ristorante “Il tempio di Giove”, Mellini vende un cartoncino liberty ai commensali: 163mila lire che vanno a rimpinguare le esangui casse della Lega per l’Istituzione del Divorzio. La legge Fortuna-Baslini è stata approvata alla Camera, in quel cartoncino un “piccolo” poema; lo stesso Mellini lo declama, accompagnato da un improvvisato strimpellatore con chitarra: «Salute o laici/ o divorzisti/ c’altri dipingono/ come Anticristi/ uniti a tavola/ si fa baldoria/ questa è la cena/ della VITTORIA…». Gli stornelli si susseguono, il brindisi così si conclude: «Oggi è più libero/ l’uman consorzio:/ anche il Italia/ vige il DIVORZIO/ Amici al brindisi/ di questa sera/ s’unisce in gaudio/ l’Italia intera / Bene augurando/ che ci sia dato/ vincere ancora/ sul Concordato./ Il modo mutasi / cambia la storia! / È questo il brindisi/ della VITTORIA!».
Non c’è dubbio Mellini: appartiene a quella non folta schiera (però più numerosa di quanto si creda) che all’Italia e a tutti noi, ha dato qualcosa di buono; di bello. Di giusto. Torno indietro nel ricordo di giorni fantastici. 1 dicembre 1970: la Camera dei deputati approva la legge n.898, quella che comunemente battezzata Fortuna-Baslini. Dc, Msi, Sudtiroler Volspartei, Monarchici si sono strenuamente opposti, ma lo schieramento laico-progressista (Psi, Psiup, Pci, Psdi, Pri, Pli), prevale. A piazza Montecitorio, i risultati sono attesi da una folla con torce, cartelloni, striscioni. È il popolo dei “cornuti”, come si sono battezzati: donne e uomini le cui unioni non hanno retto, e si sono trovati altri affetti, altri amori, altre unioni. Oggi sembra normale; allora era tutto illegale. C’era il delitto d’onore; la “prova del letto caldo”; e l’indissolubilità del matrimonio. Indissolubilità formale: pagando c’era sempre una compiacente Sacra Rota vaticana che “annulla” con i pretesti più vari. Numerosi parlamentari contrari al divorzio, si si sono creati nuove famiglie, annullandoil precedente matrimonio: magari per impotenza e incapacità di procreare, anche se hanno messo al mondo (e riconosciuto) più di un figlio…Tutti casi puntualmente censiti da Mellini in un gustoso libretto che sbertuccia fanti e santi.
Quella sera di dicembre, in quella folla spiccano quattro volti: Loris Fortuna il caparbio socialista-radicale firmatario della legge; Marco Pannella che con la sua altezza da corazziere sovrasta un po’ tutti; Mellini, battagliero e caparbio regista delle lotte divorziste; e una popolana di quella Trastevere alla “Poveri ma belli”. Si chiama Argentina Marchei, quella popolana. Avete presente la Augusta Proietti moglie di Alberto Sordi in Le vacanze intelligenti? Un tipo così. Una signora il cui marito va a cercare fortuna in Sud America, e non se ne sa più nulla. Lei incontra un altro uomo, si vogliono bene, nascono dei figli; vorrebbero uscire dalla condizione di “pubblici concubini” che dura da ben 54 anni, essere una famiglia normale. La donna piange calde lacrime di gioia e di commozione. Finalmente il sogno di una vita si può concretizzare. Tra i cartelli di quella sera, uno dice tutto: “Argentina Marchei ha vinto, Paolo VI ha perso”.
C’è Mellini, accanto a quella donna. È lui, con Pannella, il deus ex machina di un movimento che in pochi giorni macina migliaia di adesioni: la Lid, Lega per l’istituzione del divorzio. Pannella e Mellini comprendono che per vincere occorre creare un fronte di “unione” laica delle forze; è così che si trovano fianco a fianco comunisti come Umberto Terracini e Fausto Gullo; socialisti come Giacomo Mancini e Riccardo Lombardi; liberali come Giovanni Malagodi, socialdemocratici come Giuseppe Saragat, repubblicani come Ugo La Malfa… Il supporto “pubblicitario”, molto prima de L’Espresso di Eugenio Scalfari, viene da ABC: scalcinato settimanale stampato con carta di risulta, con “donnine” che mostrano mutande e, con grande parsimonia, qualche capezzolo. Lo dirige un giornalista dimenticato, Antonio Sabato.
Apre le sue pagine alla Lid, e la tiratura “esplode”: centinaia di migliaia di copie, rivela un’Italia sommersa, che non si sospettava esistesse. Quando per la prima volta i radicali si presentano alle elezioni nel 1976, è uno dei quattro eletti, con Emma Bonino, Adele Faccio e Marco Pannella. Garantista ventiquattromila carati, sono infinite le lotte che ha animato e condotto, in nome della giustizia giusta: nelle aule del Parlamento; a palazzo dei Marescialli, eletto al Consiglio Superiore della Magistratura; e nei tribunali di mezza Italia. E una quantità di pubblicazioni. Mi limito a citarne alcune: Così annulla la Sacra Rota; Le sante nullità (che svela le ipocrisie di tanti antidivorzisti che hanno fatto ricorso a quell’istituzione per sciogliere i loro matrimoni); 1976 Brigate Rosse, operazione aborto; Il giudice e il pentito; La bancarotta della giustizia; Il partito dei magistrati; Eminenza, la pentita ha parlato.
Quest’ultimo libro colpisce Leonardo Sciascia: «Offre la narrazione di un caso che può riassumerli tutti e servire da esempio riguardo ai pericoli, alle ingiustizie, alle vergognose strumentalizzazioni che certe leggi comportano». Negli anni Novanta Mauro si allontana da Pannella, con cui entra in dura polemica; si oppone con tutta la sua “vis”, alla svolta transnazionale del Partito Radicale. Come sempre, una macedonia di tenacia, grinta, spigoloso ma anche tenero e affettuoso, difficile descriverlo. A volte feroce: giunge ad accusare Pannella di essere bramoso solo di “fare scena”, di «appagarsi di inconcludenti provocazioni». Si capisce, nella foga della polemica accade che si dica quello che non si pensa, e non si pensi a quello che si dice.
Vale, quello che Mauro dice nell’apprendere della morte dell’antico compagno di tante battaglie: un giudizio che pur nel dissenso fa trasparire affetto e amicizia: «Marco parlava ai politici e alla politica, come hanno fatto nel passato profeti e persone consacrate alla religione. È per questo, e malgrado questo, che non può dirsi che Marco abbia fallito. È per questo che la rottura della nostra amicizia, tanto dolorosa per me, che ha voluto far seguire al dissenso, era, in fondo giustificata. Il torto era mio: non lo avevo capito, pretendendo ancora una volta coerenza e concludenza politica. Da non politico che rispettava la politica e ad essa parlava, è stato un personaggio di irripetibile qualità e rilievo che la storia non potrà ignorare…». Ecco: si può dire che parlando di Marco, Mauro parla anche di sé, si “descrive”. Spesso lo hanno accusato di praticare un anticlericalismo ottocentesco, superato, viziato da retorica ingenua e impolitica. È stato invece uno dei non molti campioni dell’Italia civile, laica, rispettosa dei diritti di ciascuno e di tutti. Uno dei nostri “maggiori”.
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