Il ritorno ai livelli pre-Covid
Eccesso di turismo in Italia, necessaria una politica industriale e mappare siti di maggior pregio
Il dibattito sull’eccesso di turismo nelle città italiane si allarga e vede le persone con idee sempre più contrapposte. Si moltiplicano le iniziative di protesta contro i numeri in aumento, rispetto agli anni pandemici, e la congestione delle città e delle strade, soprattutto in alcune aree, ma allo stesso tempo centinaia di migliaia di persone esultano e ne giovano per l’impatto che questo ha sul proprio lavoro.
Dopo tre anni, possiamo dire che i visitatori stranieri sono tornati ai livelli pre pandemia, anche se sul fronte della domanda italiana si sente l’erosione della capacità di spesa delle famiglie. I buoni risultati non devono farci dimenticare vecchi e nuovi problemi, dalla mancanza di infrastrutture alla concorrenza sleale di chi opera in maniera abusiva, dalla carenza di personale all’impatto del flusso di turisti in crescita sull’ambiente.
Nello scarso operato di questo Governo, che agisce per distrarre l’opinione pubblica dalle proprie inefficienze, non vi è politica industriale e tanto meno vi è un disegno strategico su quella che è una delle più importanti industrie del nostro Paese. Senza voler entrare nell’analizzare i conflitti d’interesse della Ministra Santanchè, né la sua evidente incompetenza manageriale ed amministrativa, è un peccato vedere come, in un momento come questo in cui i numeri turistici dell’Italia crescono come non mai, non è pervenuta alcuna idea, né dunque alcuna azione, sul futuro di questa industria.
Perché il turismo è industria, e come tale va gestito. In Italia conta, in termini di PIL il 13%, calcolando l’indotto a corredo. Una industria che genera a pieno regime 4,2 milioni di posti di lavoro, con ben 50 siti culturali patrimonio dell’umanità ed è prima nella top 10 della classifica Unesco. In termini di spesa, restando a dati pre Covid, il turismo ha mosso 87 miliardi solo nel 2019, di cui 44,3 miliardi rinvenienti dagli stranieri.
I cittadini USA, stando ai dati di BankItalia, hanno lasciato in Italia 5,5 miliardi, registrando complessivamente nel solo 2019 40 milioni di pernottamenti. È industria ed è fonte di occupazione e sviluppo soprattutto in aree in cui sono presenti svantaggi strutturali legati a fattori di localizzazione che ostacolano la specializzazione in altre attività produttive. Nelle aree a maggiore attrattività invece, il turismo è un’opportunità anche sul piano demografico e sociale: pur con dati del decennio scorso, tra il 2011 e il 2017 la loro popolazione è cresciuta del 2,1% e nel periodo 2012-2016 il reddito per contribuente è aumentato del 6,5%, due punti in più della media nazionale.
Il turismo, dunque, se ben gestito, diventa una delle principali forme di riduzione delle diseguaglianze tra le diverse aree della nostra Nazione. L’Italia è un Paese in cui le imprese vanno avanti nonostante tutto e nonostante la politica, ma quando la politica governa bene, e agisce, i risultati si vedono e diventano un volano ancora maggiore per l’economia. Come gestire bene è stato dimostrato, con i fatti e non a parole, dai Governi Renzi e Gentiloni, su dati che possono ancora essere utilizzati vista la parentesi unica del Covid nel biennio 20-21, che hanno portato il comparto ai dati record del 2017 e 2018. Nel 2018, l’Italia aveva raggiunto il massimo di oltre 428 milioni di presenze (+1,8% rispetto al già anno record 2017) e la spesa dei turisti stranieri è aumentata del 7,2% (circa 37 mld €).
Questo rilancio del settore era stato conseguito grazie a misure tra cui possiamo ricordare l’approvazione del Piano Strategico del Turismo 2017-2022, che delineava lo sviluppo del settore per ben sei anni, integrando le politiche turistiche con il Piano Industria 4.0; lo stanziamento, con delibera CIPE del 1º maggio 2016, di 1 miliardo del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020 al MIBACT, per interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale; la concessione di un credito d’imposta del 30% dei costi sostenuti per attività di digitalizzazione in favore degli esercizi ricettivi singoli o aggregati per il periodo 2014-2016; la concessione, dal 2014 al 2018, di un credito d’imposta in favore delle imprese alberghiere o agrituristiche per gli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento, ristrutturazione, per l’eliminazione delle barriere architettoniche, l’efficientamento energetico e l’acquisto di mobili e componenti d’arredo.
Oggi, nonostante i numeri in crescita post Covid, non bastano Sole, mare e Colosseo, ma occorrono politiche consapevoli e mirate. Manca una visione organica del comparto e soprattutto manca un impegno concreto del privato nella gestione delle bellezze paesaggistiche, dei musei e di tutte quelle attrattive di cui l’Italia è piena. Nessun cenno al tema dell’evasione fiscale, nulla sull’attività di intermediazione attraverso le piattaforme web, inizialmente nulla sulle locazioni brevi. Ci aspetteremmo investimenti in infrastrutture, tema fondamentale e annoso specialmente per alcune zone del Sud. Ci aspetteremmo risorse ed una visione per l’ENIT, risorse per rifinanziare il credito d’imposta che tanto ha giovato all’evoluzione di un settore rimasto troppi anni arretrato in termini di servizi e di qualità delle infrastrutture. Soprattutto ci saremmo aspettati una visione più programmatrice che regolatrice, una visione strategica che corrispondesse all’importanza di questo settore e alla comunicazione che i partiti su di esso hanno fatto, comunicazione che, come consueto nel modo di fare del Governo, in realtà altro non è che propaganda.
Prendiamo atto dunque di un’occasione persa e di un confuso tentativo di delineare, con strumenti sbagliati, un futuro per il settore turistico che invece di farlo sviluppare finirà per ingabbiarlo. Oggi servirebbe una mappatura dei siti di maggior pregio e una serie di opere infrastrutturali che colleghino le realtà attrattive tra loro. È inconcepibile che Matera non sia collegata al Tirreno con l’alta velocità. È assurdo che la Liguria ogni estate soffochi nel traffico. È un controsenso che alcuni imprenditori, certo non tutti, del settore rimandino da anni investimenti sulle proprie strutture, non all’altezza delle bellezze dei luoghi né dei competitor internazionali, non offrendo ai turisti il servizio che si aspettano.
Ma soprattutto, il pubblico spesso vive di una pecca: non ha l’esigenza di correre, e chi fa impresa non si sente aiutato né incentivato. Prendiamo atto dell’ennesima occasione persa per far crescere un’economia che sembra non essere la priorità del Governo, così come non lo è il lavoro degli Italiani.
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