Fu la notte del 30 aprile 711, all’esordio di maggio, 7000 berberi sbarcarono in Spagna, erano ancora in acqua, il generale che li comandava, Tāriq, diede fuoco a tutte le navi da trasporto perché non si potesse tornare indietro, “O gente! Dov’è la via di fuga? Il mare è dietro di voi e i nemici sono davanti a voi. In quel che dico non v’è, per Dio, se non verità e pazienza”, incitò, sinistro. Forse la stessa frase l’hanno urlata i militari marocchini di guardia alla frontiera dell’enclave spagnola di Ceuta, lasciando a 8000 disperati il mare dietro e il nemico davanti.
La morte e la morte, è quello che di solito i profughi hanno come prospettive: lasciano la tragedia e vanno incontro alla tragedia. E forse è quel ricordo doloroso che condiziona la Spagna, forse è quella sindrome dell’invasione che ha stretto la fortezza del cuore del Continente. Si ritorna a quella notte di tregenda dell’avanguardia di maggio, ad Algeciras messa a ferro e fuoco dall’esercito del generale Tariq. Una paura che è diventata patologia cronica, e l’Europa è cresciuta, è diventata un gigante militare, economico, ma è rimasta piccola e spaventata come in quella notte: guarda al mare come coacervo di pericoli, a ogni onda sussulta e alza le spade. Tariq è morto da più di mille anni e non ci sono condottieri in grado di portare offese in armi attraverso il mare Antico. Il Mediterraneo vomita solo disperazione, schiere a migliaia di esseri indifesi senza scelta una volta in acqua.
Per una volta, l’ultima volta, l’incantesimo s’è spezzato, i soldati spagnoli sono finiti in acqua insieme al nemico, per una volta non hanno sguainato le spade, hanno allargato le braccia ad abbraccio, e dentro il cuore di un militare spagnolo c’è finito un bambino che era appena nato e già stava per morire. Questa è l’immagine di una sindrome che potrebbe finalmente finire. Di un’Europa che smette di essere il nemico davanti, uguale al carnefice che sta dietro ai disperati, che non sono il nemico.